Cicatrici, esiti da ustioni e malformazioni venivano interpretate come stregoneria: a dare una mano l’Aicpe onlus
C’è Martine, una bambina di 3 anni con le manine chiuse da cicatrici retraenti alle mani, mai curate; c’è Nestor, un altro bimbo di 6 anni che ne dimostra la metà e ha il naso strappato dal morso di un cane: lo ricostruiranno utilizzando un lembo cutaneo ruotato dalla fronte.
Molti hanno sul corpo esiti da ustioni curati solo da sciamani, causati dal fatto che spesso i piccoli sono lasciati soli davanti ai fuochi.
E poi ci sono bimbi nati con malformazioni come labbri leporini o sindattilie (la fusione di due o più dita delle mani): tutte patologie risolvibili con la chirurgia, ma che in Africa rischiano di diventare un vero problema, perché nei villaggi chi ha delle anomalie fisiche è considerato vittima di un maleficio.
Sono solo alcuni dei casi che AicpeOnlus, sodalizio no profit che si dedica alla chirurgia plastica umanitaria, ha trattato durante l’ultima missione all’ospedale Saint Jean de Dieu di Afagnan in Togo.
Il lavoro dell’AicpeOnlus.
L’equipe era composta dai chirurghi plastici Adriana Pozzi, vice presidente della Onlus, Nicola Monni, Claudio Bernardi responsabile del progetto, da due studentesse al quarto anno di medicina, Greta e Marialuisa, quest’ultima figlia della dottoressa Pozzi, e Marie Cristine Laporte, che lavora per la Fao e per The Alliance Against Hunger and Malnutrition (AAHM).
A parte Claudio Bernardi, alla sedicesima missione umanitaria, per gli altri medici era la prima esperienza di volontariato di questo tipo.
«Abbiamo visto casi clinici disperati, mai visti – afferma Adriana Pozzi, che lavora come chirurgo plastico in Emilia Romagna -. Per noi è stato tutto una scoperta, un’esperienza incredibile in un mondo molto lontano dal nostro. A cominciare dalla strada che dall’aeroporto ci porta ad Afagnan: una mezz’ora di strada “normale”, che loro chiamano “autoroute”, due ore di sentiero di terra rossa battuta, pieno di buche, ma sempre da preferire alla strada asfaltata che corre parallela e che è in condizioni ancora peggiori».
Una volta arrivati, l’ospedale, sembra un paradiso in mezzo al nulla.
L’ospedale Saint Jean de Dieu di Afagnan.
«L’aria è calda e umida, dalle cinque e mezza del pomeriggio si sente un canto di pipistrelli che dura per tutta la notte. I pazienti arrivano da villaggi lontani, percorrendo ore a piedi in occasione del nostro arrivo: ci salutano con un sorriso e con il rispetto di chi ha la fiducia assoluta nei dottori. Operiamo tutto il giorno, dall’alba al tramonto, con la collaborazione delle infermiere di sala, Felicienne e Agnese, e con la supervisione di suor Simona, responsabile dell’ospedale. La sala operatoria è un ambiente di lavoro spartano, ma famigliare ed accogliente. Ed è anche l’ambiente dell’ospedale in cui si sta meglio, grazie all’aria condizionata che aiuta a sopportare il caldo soffocante. Quando passiamo per le medicazioni, nelle stanze della pediatria le mamme dormono con i loro bambini, sdraiate sul pavimento, sui loro drappi colorati. Al nostro passaggio molte sorridono e altre continuano a riposare, con i più piccoli avvolti nei manti di cotone. Nel reparto pediatrico esiste anche una piccola aula scolastica, dove Marie Christine insegna il francese ai bambini».
L’ospedale Saint Jean de Dieu di Afagnan è stato costruito 50 anni fa dall’Ordine religioso dei Fatebenefratelli, conta quasi trecento posti letto ed ha degli ottimi standard per il luogo. Nei 9 giorni di missione, i chirurghi italiani visitano anche i villaggi dei dintorni, dove si distribuiscono alle mamme i farmaci per curare le infezioni intestinali. Le famiglie vivono in capanne con tetti di paglia dove non ci sono latrine.
Durante la missione, l’èquipe incontra anche il consigliere del presidente del Benin, attraversando il nuovo ponte costruito al confine col Togo. Il Benin potrebbe diventare il quarto paese in cui AicpeOnlus effettua missioni dopo Togo, Guatemala e Paraguay.