Intorno all’Europa non c’è democrazia, ma solo Erdogan, al-Sisi e chi cerca un benessere impossibile
Sentendo le minacce, a questo punto erga omnes, pronunciate da Erdogan verso l’Occidente, ravviso somiglianze con le “sparate” che prima di lui hanno fatto Saddam Hussein e il colonnello Gheddafi. Quest’ultimi, ancorché la storia non sia fatta dai vinti, poco prima della loro caduta, erano ancora considerati leader modernisti con vizi da despota che, giustificati dalla causa della stabilità del MedioOriente, passavano in secondo piano. La realtà è che ai margini dell’Europa non si sviluppano cantieri di democrazia, ma aree di ambiguità dove il potere dittatoriale incassa favori dai Governi dei nostri Paesi per arginare quell’integralismo identitario che tanta paura ci provoca.
Questo vale per l’egiziano al-Sisi, le cui persecuzioni e propensioni liberali sono state smascherate, anche ai nostri occhi, dal caso di Giulio Regeni; questo vale per Recep Erdogan, il cui inglobamento nel sistema di potere occidentale, è andato ben oltre se si considera che l’esercito turco è oggi parte integrante delle Forze Nato mediterranee.
La compianta Emma Bonino ebbe a dire che abbiamo appaltato tutto alla Turchia, “anche il nostro diritto di sapere”. Questo renderebbe plausibile l’idea di fantapolitica che il golpe contro Erdogan avesse approvazioni esterne, ma la visceralità con cui l’ha represso, il fatto che, vittimizzare un’intera società, non fa che creare nuovi aspiranti eroi, rendono Erdogan un leader incontrollato e incontrollabile, oggi in estrema difficoltà. Come i suoi predecessori.