C’è un che di masochistico in Brasile nel voler sovrapporre l’incredibile vicenda di corruzione che ha coinvolto i massimi vertici del suo Governo con la passerella mediatica mondiale delle Olimpiadi.
E così mentre i Giochi scorrono in maniera apparentemente tranquilla e piacevole (salvo la sassaiola che ha colpito un bus di giornalisti, sulla quale la polizia indaga), mentre le manifestazioni di piazza che avevano fatto da corollario al mondiale di calcio sono solo un ricordo, nell’aula del Senato va in scena l’ennesimo voto che allontana Dilma Rousseff, la presidentessa socialdemocratica, sempre più dal suo incarico.
Quest’ultima era apparsa pubblicamente prima dell’accensione della fiaccola olimpica davanti alla stampa internazionale che non aveva mancato di registrarne l’autodifesa e la sicurezza sul fatto che riuscirà ad affermare la propria innocenza. Come il suo predecessore, Lula, ella è coinvolta nello scandalo Petrobras, la holding petrolifera del Brasile, che avrebbe distribuito sostegni finanziari ai vertici del partito di maggioranza velocemente dispersi su conti esteri.
La vicenda giudiziaria è piuttosto ampia e sfaccettata e coinvolge anche un supposto cartello di imprese estere, fra cui, secondo le carte dell’Antitrust del Brasile, figurerebbe anche il gruppo italo-argentino Techint. Il nuovo voto del Senato brasiliano ha dato torto alla Rousseff che ora deve attendere – per uscire di scena e rendersi disponibile per la magistratura ordinaria – solo il pronunciamento a camere riunite del Parlamento a fine agosto.
Tuttavia, resta questa impressione che il Brasile ci tenga più ad apparire giustizialista e trasparente all’opinione internazionale che di incassare in maniera indisturbata i crediti dell’Olimpiade per opere varate da Roussef e Lula.
Ma forse è solo l’ennesima rivalsa o confronto di potere nella dicotomia paulista-carioca.