Oggi se non azzecchi l’hashtag hai perso, le redazioni lavorano su quello
Non provo particolari simpatie per il collega Giuseppe Tassi o particolare coinvolgimento sulla questione delle “cicciottelle”, ma il suo caso merita una riflessione.
Con la carta stampata sempre più in crisi, l’editoria oggi lotta sul web la propria trasmigrazione in una realtà di conti economici sostenibili. Il web comporta per ora investimenti significativi a fronte di ricavi insufficienti. E comunque il miglior lavoro di una redazione – in genere velocemente copiato – ottiene successo solo se filtra attraverso due canali che al 95% ne definiscono l’efficacia: google e facebook.
Risultare “tra gli altri 40 articoli” nell’indice di googlenews non è eccitante, quindi i titolisti puntano a centrare l’hashtag di successo, quello al limite del corretto e curioso, per balzare in testa grazie all’originalità nell’indicizzazione.
“Cicciottelle” è stato un hashtag di successo, nel senso che ha differenziato di molto l’andamento di una cronaca giornalistica peraltro in precedenza vista da tutti grazie alla diretta televisiva, ma ha comportato la sollevazione dei social. Lo stesso è avvenuto al St Josè Mercury News che ha bollato con un semplice “afroamericana” la medaglia della nuotatrice Simone Manuel.
I social che si esprimono in maniera manichea (piace/non piace) sono ritenuti con eccessivo ottimismo dagli editori la propria platea di lettori per i quali vale la regola “Primum, non scontentare”. L’ondata virulenta di disapprovazione è costata il posto a Tassi che si è scusato, per me correttamente, quasi immediatamente; per eccesso di timore, non si è voluto neanche tentare di tenere l’argomento e cavalcarlo, magari contattando le arciere azzurre e così si è chiusa la vita dell’hashtag consolidando la perdita di consenso.
Giusto per Tassi? No, non merita di pagare un prezzo così alto per il titolo “cicciottelle”; almeno finché rimarrà mosca bianca nel gioco del rimbalzo di responsabilità.