Quando un dramma è terribile si cercano ovvie responsabilità, ma talvolta le risposte non sono semplici
Sul bambino sbranato dai cani di famiglia a Mascalucia mi vengono alcuni interrogativi che le scarne cronache dei giornali non risolvono. E quindi al momento prevale una sensazione di cordoglio e dolore verso quei genitori che ora devono sopportare un lutto così lacerante.
Credo che più avanti non si riuscirà a saperne di più; l’atto dovuto del magistrato che ha indagato la madre per non aver ottemperato alla custodia del figlio, ha portato questa famiglia a chiudersi ermeticamente.
I cani avevano, secondo quanto ci viene detto, 3 e 8 anni e appartenevano da tempo a questa famiglia; si tratta di cani pregiati e un cucciolo di questa razza con regolare pedigree può arrivare a costare mille euro.
A dispetto della struttura robusta e della vocazione ad essere segugio di grossa selvaggina, il Dogo argentino che discende da incroci con il più pericoloso Perro de Pelea Cordobès, è stato depennato dalle razze pericolose nel 2009 e gli addestratori ne segnalano la particolare docilità in compagnia di bambini, a patto però che abbiano ricevuto un addestramento che ne abbia scoraggiato l’aggressività. A tutto questo – salvo l’imponderabilità di un contagio di rabbia, ipotesi che sarà presto fugata – può rispondere solo il proprietario.
Probabilmente, e purtroppo, lì sta la spiegazione di quanto avvenuto a Mascalucia nel Catanese. Un dramma del genere non è il primo e non sarà l’ultimo. Sta di fatto che mettersi un animale in casa vuol dire assumersi responsabilità verso un essere senziente che, nella quasi totalità dei casi, usa il proprio linguaggio per esprimerci le sue esigenze, prima di passare alle vie di fatto.