L’amarezza non basta più
Nulla lasciava immaginare nelle cronache del primo giorno che la conta delle vittime risultasse così pesante.
C’era sofferenza, ma anche un pensiero già rivolto al domani. Alla ricostruzione.
Invece il risveglio del giorno dopo è addirittura peggiore. Ora torna solo il dolore e il cordoglio e la certezza che i cumuli intorno ai quali i soccorritori si affannano con speranze affievolite siano ancora colmi di lutto. Chi era in grado di contarli i villeggianti non residenti? Questo ci fa ricadere nel presente.
E nel presente ci sono anche quelle cartine di pericolo sismico dove l’Italia è costellata di macchie rosse e gialle: presto, forse anche nel corso della nostra esistenza, gli Appennini si sposteranno più di quando fondamenta erette centinaia di anni fa possano reggere. E le nostre beneamate città d’arte e borghi più belli sono sempre più vecchi. Rispettati, stimati, visitati e… tutelati.
Ma da chi e cosa? Quando sono i nostri egoismi e le nostre dimenticanze i pericoli maggiori? Sui social, una madre mi racconta della scuola di Amatrice, quattro anni di vita, che si è sbriciolata. E quindi mi torna il pensiero alla cattiva coscienza delle persone quando il pericolo è solo eventuale, al rispetto per la legalità, al comune senso del dovere, all’incuria dei nostri amministratori.
Cosa diremmo – giusto per fare un esempio – se invece della Salaria sgombra, ci fosse stato da far transitare i soccorsi sulla Consolare Cassia a Ponte del Paglia chiusa da tempo immemorabile?
Ci sono molti modi di vivere un dramma, tra cui quello di viverne in futuro il meno possibile. E non piangere più questo numero insensato di vittime.