La proposta spopola sui social ma è irrealizzabile. Gestito da una società privata, il montepremi è tecnicamente intoccabile
La proposta, lanciata sui social da diversi politici, di devolvere il montepremi multimilionario del Superenalotto ai terremotati continua ad essere condivisa su centinaia di migliaia di bacheche virtuali. Su change.org, la piattaforma nella quale si possono firmare virtualmente petizioni, l’iniziativa “Doniamo il jackpot del Superenalotto ai terremotati del centro Italia” ha raggiunto e superato le 270mila adesioni.
La gara di solidarietà degli italiani nei confronti dei “fratelli” delle zone colpite dal disastroso terremoto della notte del 24 agosto continua a distanza di tre giorni dal terribile evento, ma il pur lodevole intento trova ostacoli difficilmente superabili.
L’idea di destinare il Jackpot del SuperEnalotto alla popolazione del Centro Italia colpita dal terremoto «è bella, ma ci sono dei problemi da risolvere» ha detto ad Agipronews il sottosegretario all’Economia Pier Paolo Baretta.
Perché non si può intervenire sul Superenalotto?
Parole che lasciano intendere come sia difficile intervenire sul Jackpot attuale: l’estrazione di giovedì sera aveva messo in palio 128,8 milioni di euro, che ora sfiorano i 130 milioni (129,8) visto che il sei non è stato centrato.
Ma perché, si chiedono in tanti sui social, non è possibile destinare questi soldi alla ricostruzione?
1. La Sisal è una società privata
Una prima spiegazione è che il Superenalotto è un gioco d’azzardo gestito da SISAL, la società privata fondata nel 1946 che in Italia gestisce anche altri giochi numerici a totalizzatore nazionale come SiVinceTutto SuperEnalotto, Eurojackpot o Vinci per la Vita-Win for Life oltre a scommesse sportive e giochi online. Il Governo, di conseguenza, è impossibilitato ad intervenire.
L’unica maniera in cui può fare qualcosa, con i proventi del gioco d’azzardo, è destinare ai terremotati i soldi che dalle scommesse finiscono nelle casse dello Stato. SISAL, infatti, opera su concessione statale e chi vince paga tasse su quanto riscuote.
2. Il montepremi non è dello Stato
Altra questione che rende tortuosa e pressoché impraticabile la proposta condivisa sui social è che il montepremi tecnicamente “appartiene” già ai giocatori che, nel corso dell’ultimo anno, a partire dal giorno successivo all’ultimo “6” centrato ad Acireale a luglio 2015, hanno investito circa 900 milioni di euro.
Così, è molto difficile che si riesca a prendere una decisione in tempo per le prossime estrazioni, ma effettivamente si sta lavorando su «una soluzione tecnica per destinare parte dei proventi della raccolta alla ricostruzione», anche se «non è detto che ci riusciremo», ha spiegato Baretta. Secondo quanto apprende Agipronews da fonti istituzionali, infine, anche l’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli starebbe approfondendo la questione.
Introdurre la “tassa di scopo” è unica soluzione per emergenze
Fronteggiare le situazioni di emergenza o destinare fondi specifici per l’istruzione, la sanità o l’edilizia pubblica. Sono alcuni aspetti che potrebbero essere finanziati dal settore giochi – che allo Stato ogni anno versa nelle casse erariali 8 miliardi di euro – se venisse introdotta la cosiddetta “tassa di scopo”.
«Una modalità – spiega Agipronews – già adottata in diversi Paesi, in particolare negli Stati Uniti, dove ogni centesimo ricavato dalle tasse sul gioco ha una destinazione ben precisa. Molto spesso il finanziamento dell’edilizia scolastica o i programmi per la cura e la prevenzione del gioco problematico. Una soluzione che da tempo viene proposta anche per l’Italia – e sostenuta dalla gran parte degli operatori del gioco – e che darebbe un sostegno concreto con il vincolo di utilizzo delle somme. Oggi i soldi che finiscono all’erario “perdono colore” una volta messi a bilancio e vengono utilizzati insieme a tutte le altre entrate statali, domani potrebbero diventare una certezza per obiettivi specifici e mirati».