La scossa, la seconda più della prima. Uomini forti, gente di montagna, con la voce che trema nel pensare a quell’attimo in cui il panico ha prevalso. Mortificati per l’aver cercato una via di fuga quando in tanti non ce l’hanno fatta.
La vita che continua, con il disastro che resta. Emozioni. Raccolti nella preghiera per coloro che vanno laddove solo la fede permette di seguirli. Parole appassionate, motti di circostanza, lutto di Stato che con la propria presenza rende immortali vittime che forse fino al mese scorso nello Stato vedevano un repressivo dominatore.
Bisogno di organizzarsi, anime di sindaci e assessori, veri quanto non lo sono mai stati prima, a passare ore con algidi funzionari che lavorano per loro e poco più in là c’è la corona fatta per la cognata. Senso di smarrimento che riporta indietro ad altre epoche dove il vizio secolare non era quello di sapere sempre quel che avverrà domani e fra dieci anni. Qui fra due lustri ci sarà ancora da ricostruire.
E la solidarietà nazionale che riempie magazzini di generi vari, perché là su quelle montagne ci è arrivato chi doveva e chi cercava un’occasione. Tutti gli altri hanno potuto solo inviare cose che avevano, che hanno comprato per loro o di cui si sono disfatti per loro. Dolore.
Chissà per quanto. Quel che resta di una giornata di lutto.