Ai nastri di partenza nel V centenario della sua pubblicazione
“L’Orlando Furioso 500 Anni. Cosa vedeva Ariosto quando chiudeva gli occhi”, questo il titolo della mostra che apre sabato 24 settembre a Palazzo dei Diamanti e con cui Ferrara celebra il V centenario della pubblicazione del poema ariostesco.
Era, infatti, il 22 aprile 1516, cinquecento anni fa, quando, in un’officina tipografica ferrarese, si terminava la stampa dell’Orlando furioso, opera simbolo del Rinascimento italiano. Promossa dalla Fondazione Ferrara Arte e dal Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, la mostra si annuncia quale uno dei maggiori eventi espositivi di questi ultimi anni in Italia.
A partire dal 24 settembre 2016 fino all’8 Gennaio 2017 i visitatori potranno ammirare, nelle sale del Palazzo dei Diamanti, oltre ottanta lavori di eccezionale bellezza, nonché di straordinario valore artistico e storico-documentale, in un” viaggio” affascinante tra dipinti, sculture, arazzi, libri, manoscritti miniati, strumenti musicali, ceramiche invetriate, armi e manufatti rari.
A orchestrare l’incanto visivo cui si assisterà nei prossimi mesi ai Diamanti è stata un’idea semplice: restituire l’universo di immagini che popolavano la mente di Ludovico Ariosto mentre componeva il Furioso. Cosa vedeva il poeta, chiudendo gli occhi, quando si accingeva a raccontare una battaglia, un duello di cavalieri o il compimento di un prodigioso incantesimo? Quali opere d’arte furono le muse del suo immaginario visivo? Sono queste le principali domande che si sono posti i curatori di questa mostra, Guido Beltramini e Adolfo Tura.
Per trovare risposte a tali interrogativi hanno dovuto portare avanti un lungo e certosino lavoro preparatorio, in ciò affiancati da Maria Luisa Pacelli e Barbara Guidi, rispettivamente direttrice e curatrice di Palazzo dei Diamanti, e da un autorevole comitato composto da studiosi di Ariosto e da storici dell’arte. Ed è grazie a questa paziente e attenta ricerca, orientata a individuare i temi salienti del poema e a rintracciare, puntualmente, le fonti iconografiche che ne hanno ispirato la narrazione, che oggi i visitatori dell’esposizione potranno immergersi nel fantasmagorico universo dell’immaginario artistico dell’Ariosto, fatto di battaglie e tornei, cavalieri e amori, desideri e magie.
A guidarli lungo questo itinerario sono i capolavori dei più grandi artisti del periodo, da Paolo Uccello ad Andrea Mantegna, da Leonardo da Vinci a Raffaello, da Michelangelo a Tiziano a Dosso Dossi: creazioni straordinarie che faranno rivivere il fantastico mondo cavalleresco del Furioso e dei suoi paladini, offrendo al contempo un suggestivo spaccato dell’Italia delle corti in cui il libro fu concepito.
Tra le opere conosciute o ammirate dal poeta, sarà possibile vedere dei pezzi rari e preziosi arrivati dai maggiori musei del mondo, si va dall’olifante dell’XI secolo, che la leggenda vuole sia il corno di Orlando che risuonò a Roncisvalle, alla straordinaria Scena di battaglia di Leonardo da Vinci proveniente da Windsor; dalla preziosa terracotta invetriata dei Della Robbia raffigurante l’eroico condottiero Scipione dal Kunsthistorisches Museum di Vienna, al romantico, trasognato Gattamelata di Giorgione dagli Uffizi, celebre comandante di ventura ritratto nella sua luccicante armatura moderna; dal raffinato dipinto di Andromeda liberata da Perseo di Piero di Cosimo degli Uffizi, fonte dell’episodio di Ruggero che salva Angelica dalle spire del drago, all’immaginifica e monumentale visione di Minerva caccia i vizi dal giardino delle virtù di Andrea Mantegna del Louvre, che Ariosto vide nel camerino d’Isabella d’Este, le cui figure fantastiche ricompaiono nel corteo di mostruose creature incontrato da Ruggero nel regno di Alcina.
Il poema di Ariosto, in modo particolare nella sua edizione del 1532 “purificata” dalle inflessioni locali, fece del suo autore colui che meglio di ogni altro seppe trasporre in letteratura il linguaggio delle arti figurative del tempo, di quel Rinascimento che darà vita alla “maniera moderna” e i cui campioni furono Michelangelo e Raffaello. E l’Orlando furioso si può considerare a buon diritto un capolavoro “italiano”, simbolo della letteratura del primo Rinascimento, un «classico di una classicità nuova».
Altro aspetto di particolare curiosità che emerge da questa mostra dei Diamanti è che l’Ariosto non solo vide di persona le opere di Michelangelo e Raffaello, ma fu direttamente coinvolto nella nascita dei dipinti che artisti come Dosso o Tiziano dipinsero per Alfonso d’Este: questi saranno rappresentati in mostra dal Baccanale degli Andrii di Tiziano, uno dei capolavori del Camerino delle pitture di Alfonso che – grazie ad un prestito eccezionale concesso dal Museo del Prado – tornerà in Italia dopo quasi cinquecento anni dalla sua creazione. Realizzato quasi certamente con il concorso di Ariosto, il dipinto è a sua volta fonte di profonda suggestione per il poeta: non a caso, alla consonanza fra l’idealizzata Venere di Botticelli e l’algida figura di Angelica descritta nel Furioso del 1516, corrisponde quella fra la sensuale figura di Olimpia nell’edizione del 1532 e il morbido nudo di Arianna, disteso in primo piano nel Baccanale del Vecellio.
Marilena Spataro