Slow Food: storie di legalità, quando opporsi alla mafia conviene


Quando opporsi alla mafia conviene. Storie di legalità dalle filiere virtuose dell'agroalimentare
Quando opporsi alla mafia conviene. Storie di legalità dalle filiere virtuose dell’agroalimentare

Slow Food: storie di legalità, quando opporsi alla mafia conviene

Legalità. Chi si oppone alla ‘ndrangheta guadagna di più: alle 30 aziende della rete che producono agrumi, olio, peperoncino, garantiamo il giusto prezzo. Ad esempio, paghiamo le arance 40 centesimi al chilo invece dei 5 centesimi che avevano generato la rivolta di Rosarno. In cambio chiediamo di bandire il lavoro nero, e ogni violazione viene sanzionata con 10 mila euro di multa e l’espulsione dell’azienda dalla cooperativa». Così Vincenzo Linarello, presidente del gruppo cooperativo Goel, che ha creato nella Locride Goel Bio per unire e sostenere le aziende che scelgono di non piegarsi ai ricatti delle organizzazioni criminali.

Di come sia facile per le organizzazioni criminali inserirsi nella filiera agroalimentare, fino a impadronirsi di beni e risorse che sono patrimonio comune, abbiamo parlato oggi nella prima giornata di Terra Madre Salone del Gusto insieme a Don Luigi Ciotti, fondatore di Libera, e Giancarlo Caselli, presidente dell’Osservatorio per la lotta alla criminalità agroalimentare. «La legislatura vigente in materia agroalimentare ha una natura criminogena, a non rispettarla si ha tutto da guadagnare. Dobbiamo stringere le maglie della legislazione» raccomanda Giancarlo Caselli.

Un intervento necessario anche per sostenere chi invece lavora per affrontare a testa altissima i sistemi criminali, tra insidie e mille difficoltà. Come chi si impegna ogni giorno a difendere il bene comune rappresentato dalle terre strappate alle mafie: «Noi produciamo prodotti biologici su terreni confiscati – racconta Raffaella Conci, presidente della cooperativa Terre Joniche di Crotone – Ci teniamo a mantenere altissimo il livello della nostra qualità, i nostri prodotti non sono solo buoni, ma anche puliti e giusti. E così, chi li sceglie sa che promuove un’economia che rispetta l’ambiente e i lavoratori».

Al Parco dei Nebrodi, in Sicilia, è nato “Nebrodi Sicily”, un marchio per identificare, e premiare, «i produttori con certificati antimafia – spiega Rosario Gugliotta, presidente Slow Food Sicilia – Sembra scontato, ma in terra di mafia non lo è». E tutto ciò dà fastidio: il presidente del parco, Giuseppe Antoci, ha subìto un attentato a colpi di pistola. Così come Alessandro Ciccolella, direttore del consorzio di gestione dell’oasi di Torre Guaceto in Puglia, al quale hanno tentato di incendiare la casa dei genitori. Ciccolella ha pagato il suo impegno in difesa del parco e della pesca dagli interessi privati, condotto accettando solo i pescatori autorizzati. «Una fatica – dice – ma che dà grandi soddisfazioni. Quando organizziamo nelle scuole i confronti di pesce al buio, i bambini scelgono sempre il nostro, non quello surgelato: questo a testimoniare come la sensibilità cresca, soprattutto nei più piccoli». Gli esempi non mancano anche in uno dei settori dove il caporalato è più diffuso, quello dei pomodori. «Dai primi anni 2000, da quando cioè facciamo rispettare ai nostri produttori regole ferree sul lavoro, il fatturato della cooperativa è cresciuto da 3 miliardi di lire ai 10 milioni di euro di oggi», racconta Salvatore dell’Arte, presidente della cooperativa Aurora di Pachino, in Sicilia, forte dell’accordo con Coop che acquista e distribuisce i loro pomodori con il marchio “Fiorfiore”.

Non possiamo più aspettare, però, e le nostre istituzioni devono assumersi un impegno maggiore: «Da quasi un anno è fermo nel cassetto del ministro della Giustizia Orlando un progetto di legge pensato per sanzionare la frode e tutelare appieno il cittadino consumatore, che merita di riacquistare fiducia. E questo obiettivo si raggiunge solo con uno strumento: l’etichetta narrante. Un’etichetta che dica tutta la verità sui prodotti e racconti tutto: origine di tutti gli ingredienti, sistemi di produzione e distribuzione dei prodotti. Solo in questo modo il cittadino è in grado di scegliere» spiega Caselli.

«Ma non dobbiamo confondere la giustizia con la legalità. La legalità è un pre requisito, l’obiettivo rimane la giustizia – interviene don Luigi Ciotti – Un modo per garantire più giustizia è partire dall’educazione, per esempio dall’educazione alimentare che ci aiuta ad evitare di consumare anche un po’ di se stessi».

Perché, conclude il presidente di Slow Food Italia Nino Pascale, «parlare di cibo, d’acqua, vuol dire parlare di diritti. E i diritti dovrebbero arrivare prima dei profitti».