L’Aiom: «Possibile ridurre del 20% la mortalità ma cittadini non aderiscono ai programmi»
ROMA – L’adesione alle campagne di screening per il tumore del colon è ancora scarsa nel nostro Paese. Solo il 47% dei cittadini di età compresa fra 50 e 69 anni (nel biennio 2011-2012) ha eseguito l’esame del sangue occulto nelle feci, un test in grado di ridurre del 20% la mortalità proprio perché permette di individuare lesioni sospette in stadio iniziale.
Il 25% delle diagnosi di tumore del colon-retto avviene infatti in fase avanzata e in questi casi le possibilità di sopravvivenza sono limitate: solo l’11% di questi pazienti è vivo a 5 anni dalla diagnosi.
A lanciare l’allarme è l’Associazione Italiana di Oncologia Medica (AIOM) che oggi a Milano ha dedicato il convegno “Dalla capecitabina al TAS 102” alle nuove prospettive nel trattamento di questa neoplasia, in particolare alla combinazione di trifluridina e tipiracil.
«È necessario migliorare la consapevolezza degli italiani sull’importanza degli screening, in difficoltà soprattutto al Sud. Infatti i sintomi possono essere confusi con quelli di altre patologie e spesso, quando viene individuato, il tumore si è già diffuso» spiega il professor Carmine Pinto, presidente nazionale AIOM.
Il tumore del colon-retto è il più frequente con circa 52.400 nuovi casi stimati nel nostro Paese nel 2016 e 427mila persone vivono dopo la diagnosi.
L’impatto economico della malattia è importante: il costo sociale totale annuo relativo all’insieme di tutti i pazienti italiani (con una diagnosi da non più di 5 anni, con e senza caregiver) è, secondo le stime del Censis, pari a 5,7 miliardi di euro e comprende sia i costi diretti che indiretti (questi ultimi includono i mancati redditi e il valore dell’assistenza garantita dai caregiver).
I costi medi annui pro capite di paziente e caregiver sono stimabili in media a 41,6 mila euro (per i malati con una diagnosi da non più di un quinquennio). La possibilità di individuare precocemente lesioni pre-cancerose, oltre a ridurre la mortalità, ha molteplici risvolti positivi, ad esempio permette di asportare per via endoscopica il tumore evitando interventi chirurgici maggiori e demolitivi (con necessità ad esempio di stomia intestinale) e di ridurre i costi sociali.