L’organizzazione umanitaria lancia un appello per aiutare queste donne a superare i crimini subiti
ROMA – Amnesty International ha accusato la comunità internazionale di non fornire adeguato sostegno alle ragazze e alle donne yazide ridotte in schiavitù, stuprate, picchiate e sottoposte a ulteriori torture da parte del gruppo denominatosi Stato islamico (Is).
Ad agosto, ricercatori dell’organizzazione per i diritti umani hanno incontrato nel Kurdistan iracheno 18 ragazze e donne catturate dall’Is e successivamente fuggite o rilasciate a seguito di un riscatto pagato dalle loro famiglie. Alcune di loro sono arrivate sull’orlo del suicidio o piangono il suicidio delle loro sorelle o delle loro figlie a causa della brutalità dei trattamenti subiti durante la prigionia. La sofferenza delle sopravvissute è acuita dalla condizione di miseria in cui vivono, dal dolore per i familiari uccisi dall’Is e dal timore per la sorte di quelli che sono ancora sotto sequestro. “Gli orrori inimmaginabili vissuti dalle ragazze e dalle donne yazide nelle mani dell’Is gettano nuova luce sui crimini di guerra e sui crimini contro l’umanità che vengono tuttora commessi da quel gruppo. Molte ragazze e donne sono state stuprate, picchiate o sottoposte in continuazione a ulteriori forme di tortura e continuano a portare con sé il trauma di quell’esperienza orribile” – ha dichiarato Lynn Maalouf, vicedirettrice delle ricerche presso l’ufficio regionale di Amnesty International a Beirut.
Da quando, nell’agosto 2014, l’Is ha attaccato la regione del Sinjar, nell’Iraq nord-occidentale, la comunità yazida è stata presa sistematicamente e deliberatamente di mira. Migliaia di yazidi sono stati catturati, centinaia di ragazzi e uomini adulti sono stati massacrati e tanti altri sono stati minacciati di morte se non si fossero convertiti all’Islam. Le ragazze e le donne yazide catturate sono state divise dai loro parenti e “regalate” o “vendute” ad altri combattenti dell’Is in Iraq e in Siria. Spesso sono state oggetto di ripetuti scambi tra combattenti e stuprate, ripetutamente picchiate e sottoposte a ulteriori violenze, private del cibo e di altri beni essenziali e costrette a pulire, cucinare e fare altri lavori per i loro sequestratori.
Molte delle yazide incontrate da Amnesty International hanno raccontato di essere state separate dai loro figli. I bambini di età superiore a sette anni venivano indottrinati e addestrati al combattimento, mentre bambine persino di nove anni venivano “vendute” come schiave del sesso.
Le testimonianze
Jamila (tutti i nomi delle persone citate sono di fantasia, per proteggere la loro incolumità), una ventenne di Sinjar rapita il 3 agosto 2014, ha raccontato ad Amnesty International di essere stata stuprata da almeno 10 uomini che la “compravano” l’uno dall’altro. Nel dicembre 2015 la sua famiglia ha pagato un alto riscatto per riaverla libera. Jamila ha raccontato che nella città di Mosul i combattenti dell’Is hanno obbligato lei e altre donne e ragazze a togliersi i vestiti e a “posare” per i fotografi prima di essere “vendute”. Ha provato a scappare due volte ma è stata nuovamente catturata. Per punizione è stata legata mani e piedi a un letto, sottoposta a stupro di gruppo, picchiata con dei cavi elettrici e privata del cibo. Come molte altre yazide, Jamila ha pensato di suicidarsi ma alla fine ha deciso di parlare: “Non voglio nascondere cosa è accaduto, in modo che le persone possano aiutare chi è ancora nelle mani di Daesh e coloro che sono sopravvissute a rifarsi una vita”.
Nour, una ragazza di 16 anni di Siba Sheikh Khidir che ha partorito una bimba durante i quasi due anni di prigionia nelle mani dell’Is, è stata trasferita almeno sei volte in località diverse di Siria e Iraq, tra cui Tal A’far, Mosul, Aleppo and Raqqa. Ha raccontato come i combattenti dell’IS abbiano trattato senza umanità gli yazidi. “Per loro eravamo kuffar, infedeli cui si può fare qualsiasi cosa. Durante la prigionia ci hanno umiliato: non ci davano da mangiare; picchiavano tutte, persino le bambine piccole; ci compravano e ci vendevano e ci facevano ogni cosa gli venisse in mente. Era come se non fossimo esseri umani. Io ora sono libera, ma altre si trovano ancora in questo inferno. Non abbiamo abbastanza denaro per sostenere noi stesse e riavere indietro le nostre parenti”.
Sostegno internazionale inadeguato
La maggior parte delle centinaia di ragazze e donne yazide che sono riuscite a scappare dalla prigionia dell’Is vivono in condizioni terribili, con parenti poveri sfollati dalle loro case o nei campi per profughi interni del Kurdistan iracheno. Il sostegno disponibile è del tutto inadeguato alle loro necessità. Molte hanno bisogno di assistenza finanziaria e di aiuto psicologico. Una donna di 42 anni della regione del Sinjar, che ha trascorso nelle mani dell’Is 22 mesi insieme ai suoi quattro figli, è tuttora traumatizzata. Un combattente dell’Is particolarmente crudele ha rotto i denti a uno dei suoi figli, di sei anni, e poi si è messo a ridere. Un’altra sua figlia, di 10 anni, è stata picchiata brutalmente. “Picchiava i miei figli e poi li chiudeva in una stanza. Loro piangevano e io piangevo a mia volta, fuori dalla porta. Lo supplicavo di ucciderci e lui rispondeva che non voleva andare all’inferno per colpa nostra”.
Grazie a un programma finanziato dal governo tedesco, 1800 yazide – sopravvissute alla violenza sessuale e i loro parenti stretti – sono arrivate in Germania per ricevere cure specialistiche ma occorrerebbero molte altre iniziative come questa.
Una donna di 60 anni della regione del Sinjar, che vive attualmente nel campo per sfollati interni di Chem Meshko, ha 32 parenti ancora nelle mani dell’Is oppure scomparsi. Parlando con Amnesty International ha detto: “Il mondo intero sa cosa è capitato agli yazidi. Vorrei proprio sapere ora cosa intendono fare per noi…”
“Molto di più può e deve essere fatto per curare le profonde cicatrici fisiche e psicologiche causate dai lunghi periodi di prigionia e per offrire una speranza di ricostruire vite andate a pezzi” – ha commentato Maalouf.
Individuare e portare di fronte alla giustizia i responsabili
Finora, nessuno in Iraq è stato indagato o processato per i crimini commessi contro la comunità yazida. I pochi processi nei confronti di persone sospettate di aver commesso reati per conto dell’Is non hanno aiutato a stabilire la verità o a fornire giustizia e riparazione alle vittime e alle sopravvissute.
Ad esempio, il processo contro 40 combattenti dell’Is accusati di aver preso parte al massacro di circa 1700 cadetti sciiti del campo d’addestramento militare di Speicher nel giugno 2014 è stato profondamente irregolare e molti imputati sono stati condannati sulla base di “confessioni” estorte con la tortura.
“Se le autorità irachene intendono davvero chiamare l’Is a rispondere di crimini orrendi, devono subito ratificare lo Statuto di Roma e dichiarare che il Tribunale penale internazionale è giuridicamente competente a occuparsi della situazione dell’Iraq per tutti i crimini commessi durante il conflitto. Il governo di Baghdad deve inoltre promuovere una legge per la punizione dei crimini di guerra e contro l’umanità e riformare il sistema giudiziario e quello delle forze di sicurezza affinché siano rispettosi degli standard internazionali” – ha osservato Maalouf.