Percentuali più basse per gli incassi di regioni e province che però spendono oltre la metà del totale
ROMA – I soldi delle tasse che ogni anno versano i contribuenti finiscono quasi interamente nelle casse dello Stato, mentre a regioni e comuni restano solo le briciole.
Sfiora infatti l’80% (78,8%) la percentuale di tasse pagate dai contribuenti che finiscono allo Stato centrale.
Nettamente inferiore la percentuale di quanto incassano le regioni (14,1%) e ancora più bassa quella dei comuni (5,9%).
A rilevarlo è l’Ufficio studi della CGIA, che ha effettuato un’analisi sul “percorso” dei tributi, dalle tasche dei cittadini agli enti che incassano, nel nostro Paese.
Nello specifico, su un ammontare complessivo di 493,5 miliardi di euro di imposte dirette (Irpef, Ires, Irap, etc.), indirette (Iva, Imu, imposta di registro, etc.) e in conto capitale (imposta sulle successioni e donazioni, etc.) versate dagli italiani nel 2015, ben 389 miliardi (78,8 per cento del totale) sono stati incassati dall’Erario.
Alle regioni sono andati 69,7 miliardi mentre i comuni hanno incassato 29,3 miliardi. Ammontano a 4,1 miliardi le entrate tributarie delle Province (0,8% del totale) mentre e altri 1,3 miliardi (0,3%) sono finiti ad altri enti locali (Asl, Consorzi di bonifica, Camere di Commercio, etc).
Aggiungendo 218,5 miliardi di contributi sociali effettivi (previdenziali e assicurativi) pagati dagli italiani, la Pubblica amministrazione incassa in tutto 712,1 miliardi di euro.
«Nonostante le riforme avviate in questi ultimi 25 anni siamo ancora a metà del guado. Non facciamo più parte del club dei Paesi unitari, ma non possiamo neppure considerarci un Paese federale» spiega il coordinatore dell’ Ufficio studi della Cgia, Paolo Zabeo.
«Se sul fronte fiscale la quasi totalità del gettito tributario finisce nelle casse dello Stato centrale gran parte della spesa, al netto degli interessi sul debito pubblico e della previdenza, viene gestita dalle Amministrazioni locali» aggiunge.
Dei 432 miliardi di spesa pubblica al netto di interessi e previdenza, il 53% è in capo a Regioni, Province e Comuni. Insomma, la quasi totalità delle nostre tasse finisce a Roma, ma oltre la metà della spesa viene amministrata da Regioni e autonomie locali».
La composizione del gettito tributario per singolo livello di governo è molto articolata.
Dei 389 miliardi di euro di imposte che lo Stato centrale incassa dai contribuenti italiani, ben 154,8 miliardi sono riferiti al gettito Irpef. Altri 94,7 miliardi all’Iva, 30,5 miliardi all’Ires e 24,3 miliardi all’imposta sugli oli minerali.
Le Regioni, invece, possono contare principalmente sul gettito Irap pari a 28,1 miliardi di euro. Ma anche sull’Irpef che è costata ai contribuenti 11,5 miliardi di euro e sull’addizionale regionale Irpef per un importo di 11,3 miliardi.
I comuni, infine, nel 2015 hanno potuto contare su 16,8 miliardi di gettito Imu, su 4,7 miliardi di Tasi e su 4,4 miliardi dall’addizionale comunale Irpef.
Tuttavia, questa fotografia sulla distribuzione delle entrate non racconta l’evoluzione dei rapporti tra centro e periferia negli ultimi anni.
Tra il 2010 e il 2015, infatti, i comuni hanno subìto un taglio dei trasferimenti da parte dello Stato centrale di 11,9 miliardi. Per salvaguardare i bilanci e i servizi erogati alla popolazione i sindaci hanno aumentato le tasse locali di 11,3 miliardi.
Se da questa operazione lo Stato ha tagliato le uscite diventando più virtuoso e i comuni ci hanno “rimesso” 600 milioni di euro, a pagare il conto più salato sono stati i cittadini e le imprese che hanno dovuto compensare i mancati trasferimenti subendo un fortissimo aumento dei tributi locali.
Con la sostituzione dell’Ici con l’Imu, ad esempio, il carico fiscale sui capannoni e sui negozi è più che raddoppiato, passando da 4 a 9,5 miliardi di euro.