Rapporto Abi 2016: il 99% dei contratti del personale è a tempo indeterminato
ROMA – Le banche italiane sono alle prese con riorganizzazioni aziendali e interventi strutturali ma il posto di lavoro nel settore del credito continua ad essere sinonimo di stabilità.
In controtendenza rispetto a quanto si prospetterebbe con Unicredit, pronta a 6500 esuberi nell’ambito dell’operazione da 13 miliardi di aumento di capitale e riduzione dei costi emersa nelle ultime ore, il Rapporto Abi 2016 sull’occupazione bancaria mostra segnali più che positivi.
In linea generale, secondo l’associazione dei bancari, in un contesto di crescenti tensioni politiche e geopolitiche, gli ultimi mesi del 2016 fanno registrare elementi favorevoli di ritorno alla crescita. Tra questi gli immediati positivi effetti del quantitative easing della Bce.
Dal lato del mondo bancario italiano l’innovazione tecnologica, i nuovi modi di fare banca e la spinta iper regolatoria dell’Unione Europea hanno richiesto, e richiederanno in futuro, riorganizzazioni aziendali e interventi strutturali.
La conseguenza è che cambierà il modo di relazionarsi con la clientela, attraverso il potenziamento di canali innovativi che utilizzano le nuove tecnologie e modificano, riducendola, la funzione della rete tradizionale. Si assisterà dunque alla progressiva diminuzione del numero degli sportelli fisici.
La 24ª edizione del Rapporto Abi 2016 sul mercato del lavoro nell’industria finanziaria mostra però come nel settore del credito la stabilità del posto di lavoro si conferma valore fondamentale con un’incidenza del 99% dei contratti a tempo indeterminato (compresi gli apprendisti).
Nonostante la lunga scia della crisi e gli scenari organizzativi e prospettici, il settore ha contenuto la contrazione degli organici nel biennio 2014-2015 (circa -0,8%). Tra le principali caratteristiche del personale bancario si evidenziano anche la qualità professionale in costante crescita (con il 37,8% di laureati) e il continuo aumento del personale femminile (45% sul complesso dei dipendenti).
Per quanto riguarda l’analisi del posizionamento delle banche italiane in Europa in relazione al costo del lavoro, continuano a sussistere squilibri che penalizzano la competitività. Per i gruppi bancari a prevalente vocazione nazionale il costo del lavoro unitario, pari ad oltre 73 mila euro a fine 2015, è in calo rispetto al 2014 ma ancora superiore alla media europea di circa 68 mila euro.
Anche esaminando il rapporto fra costo del personale e margine di intermediazione il divario tra gruppi bancari italiani e media europea resta ancora molto elevato. È pari a oltre 6 punti percentuali (35,2% contro 29% medio europeo). Ancora più significativo è il gap con i concorrenti, considerando il rapporto fra costi operativi e margine di intermediazione. Gli intermediari creditizi italiani, infatti, con un indice del 67% si distanziano per 9 punti percentuali rispetto alla media europea del 58%.
«Questi risultati discendono dalle difficoltà nelle quali continuano ad operare le banche, poste di fronte ad importanti mutamenti strutturali connessi con il cambiamento tecnologico, l’evoluzione del mercato dei capitali e le incertezze derivanti dall’evoluzione in corso del quadro delle regole e di vigilanza» sottolinea l’Abi.
«È condizione fondamentale per il recupero di redditività il completamento del processo di armonizzazione delle regole iniziato con l’Unione bancaria europea, assicurando norme identiche per tutte le banche vigilate, senza privilegi per alcuno, uguaglianza dei punti di partenza nella competizione di mercato e stabilità dei requisiti patrimoniali bancari prospettici che non possono cambiare di continuo» aggiunge l’associazione dei bancari.