Site icon Corriere Nazionale

L’artista Mario Zanoni racconta la genesi delle sue creature fantastiche, ispirate dalla Divina Commedia

Lo scultore Mario Zanoni ci racconta cosa si cela dietro le sue opere tratte dalla Divina Commedia, in mostra a Firenze fino al 26 gennaio, al Circolo degli Artisti – “Casa di Dante”

Lo scultore Mario Zanoni in compagnia del sindaco di Lugo Davide Ranalli

Giovedì, 26 Gennaio 2016, si conclude l’evento espositivo, inaugurato il 14 Gennaio scorso, presso gli spazi della Società delle Belle Arti – Circolo degli Artisti – “Casa di Dante” di Firenze, dedicato al ciclo di sculture (di cui molte inedite) del Divin “Bestiario”. Figure del fantastico animale e dell’immaginario nella Divina Commedia dello scultore romagnolo Mario Zanoni.

Il Divin “Bestiario” rappresenta un percorso iniziato da Zanoni nel 2015 in omaggio al Sommo poeta Dante Alighieri nel 750° anniversario della sua nascita.

Tale percorso si contraddistingue per essere una “riscrittura” in termini plastico-visivi della Divina Commedia attraverso una libera e personalissima interpretazione delle figure dantesche; esso rappresenta un unicum assoluto nell’ambito della scultura contemporanea, ciò, sia per quanto riguarda la vastità della collezione da un punto di vista numerico (attualmente oltre 35 sculture), sia, soprattutto, per l’interpretazione data alle figure dell’immaginario dantesco dall’artista romagnolo, un immaginario, che si caratterizza per una visionarietà alquanto estrosa, di stampo gotico medievale, come sottolinea il critico Alberto Gross nel testo che accompagna il catalogo del Divin “Bestiario”

«Se punto di partenza – scrive Gross- per questo ultimo ciclo di opere – “Il Divin Bestiario” – risulta il mondo della Commedia dantesca e la sua fauna variegata, difforme e deforme, l’artista tende tuttavia a procedere naturalmente per accumulo di suggestioni, stratificazioni e incastri che moltiplicano e riverberano ogni ipotesi di figura. In questo Zanoni può letteralmente definirsi un visionario: l’immagine non viene “veduta” ma “visionata”, tra sensazione e percezione si frappone una virtù oscura che penetra la natura conferendole una brillantezza violenta, uno spirito quasi febbrile, tanto impercettibile e frammentario, quanto mai icastico ed incisivo […] In tale contesto la logica della figurazione, la narrativa dell’immagine cedono il passo ad una più ampia dialettica di carattere non già razionale, quanto intuitivo: Cerbero è sì il cane a tre teste, Caronte è il traghettatore di anime e Medusa ha capelli di aspide e sguardo che pietrifica, ma la loro storia, la loro universale e condivisa mitologia viene trasformata in mitopoiesi, nella ricostruzione e riproposizione di un teatro personalissimo ed individuale».

L’artista Mario Zanoni (dx) con il critico d’arte Alberto Gross (Foto di Silvia Baldacci)

Del percorso artistico che lo ha condotto nel tempo a iniziare questo affascinante viaggio nell’universo del poema dantesco e delle motivazioni artistiche e letterarie che lo vanno guidando in questa sua ricerca plastica tra i “misteri” del fantastico animale e dell’immaginario nella Divina Commedia, è lo stesso autore a parlarcene.

Quale l’aspetto che maggiormente l’ha colpita di questo evento fiorentino?

«Tra le tante mostre, personali e collettive che ho tenuto in Italia e all’estero, questa del Divin “Bestiario”, che si è tenuta nel Circolo degli Artisti “Casa di Dante” di Firenze, è quella che sento avermi dato la maggiore soddisfazione in assoluto e sia a livello personale, che come artista, mi sento gratificato e commosso per il calore umano con cui sono stato accolto e per la sensibilità che i fiorentini, ma anche tantissimi stranieri, hanno dimostrato nei confronti delle mie opere, partecipando con interesse fin dal giorno della inaugurazione all’evento espositivo».

Cosa ha significato per lei portare a Firenze, nella “Casa di Dante” il suo Divin “Bestiario”?

«Un piacere ma anche una sfida con me stesso, i fiorentini per secolare tradizione forse sono il pubblico più artisticamente e culturalmente preparato del mondo, non era affatto scontata un’accoglienza tanto calorosa».

Dopo questa mostra il suo viaggio dantesco, a quanto pare, continuerà. Come pensa di percorrerlo e quanto la stretta “vicinanza”, almeno in termini ideali, con il Sommo poeta nella cui “casa”, appunto, si è svolta questa sua rassegna di sculture, influenzerà le sue prossime opere? 

«Credo che la ricerca continuerà in particolare nei versi in cui Dante descrive minuziosamente le metamorfosi delle anime con quella violenza barbarica molto affine al mio modo di pietrificare le immagini ed emozioni. Vista come ‘poema gotico’ la Commedia è per me una fonte inesauribile. Quanto alla “vicinanza”, cui lei si riferisce, con il grande Dante Alighieri, essa mi da fiducia ed ispirazione. Ed in tal senso non fa che accrescere la mia riconoscenza verso il Sommo».

 

Mario Zanoni, Arpia (Foto di Maila Stolfi)

Anni fa, il critico d’arte e scultore Giovanni Scardovi, scrisse di lei:

“Le forme plastiche e i soggetti delle figure che lo scultore Mario Zanoni realizza da oltre venti anni sono riconducibili secondo la critica a modelli espressivi gotici mutuati dal mondo medievale. Certe figurazioni animalesche o teste di drago che fuoriescono dai muri delle cattedrali del Nord, l’arcano di certe figure dell’iconografia magica medievale, le teste di uccello, i grifoni, sono gli elementi rivisitati dalla scultura di Zanoni che addentra i suoi temi in una sorta di allegoria favolistica, incarnando questi mitologemi nella sua iniziazione plastica. Il mondo allegorico e plastico di Zanoni sembra aver preso i moventi da queste suggestioni, come il suo voler dar corpo all’arcano simbolico dei tarocchi, quali: la Torre, Il diavolo, L’appeso, legati al magico e al demoniaco del sacrificio, dell’eversione della libido”.

Quanto questo suo linguaggio espressivo e queste sue caratteristiche plastiche l’hanno aiutata nell’esplorazione del mondo dantesco?

«Nei secoli XIII e XIV si sviluppa nel nord Europa l’arte gotica. Il termine gotico verrà tuttavia coniato solo attorno al ‘500 con un’accezione negativa: significava infatti, “barbaro”. Ebbene, con questa ‘barbarie’ sento una profonda familiarità, sono affascinato dal modo di rappresentare la figura con quello stile, citerò l’esempio del ‘Crocefisso di Santa Croce’ di Cimabue, Vasari lo indicò come il primo pittore che si discostò dalla “scabrosa goffa e ordinaria maniera greca”. Il corpo del Cristo è totalmente sproporzionato, la parte inferiore ha sembianze femminili, mani troppo lunghe, piedi troppo piccoli. Ma quel corpo, staccandosi dall’immagine ieratica e idealizzata della tradizione bizantina esprime quella umanità ed emozione che saranno in seguito alla base della pittura italiana ed europea. E’ sorprendente come nella Commedia demoni, spiriti e bestie, anche nell’estremo dolore, sappiano esprimere emozioni ed a volte grande umanità».

Quali le differenze e quali le affinità tra i soggetti fino a ora realizzati e quelli del fantastico animale e dell’immaginario mitologico incontrati in questo suo viaggio dentro la Divina Commedia?

«Ho fantasticato sul significato simbolico contenuto nella narrazione dantesca, è un disvelamento continuo che misteriosamente suggerisce forme e colori sovrapponendosi al mondo visionario del poeta:

Caron dimonio, con occhi di bragia
loro accennando, tutte le raccoglie;
batte col remo qualunque s’adagia.

Il mio Caronte, in una visione gotico metamorfica, perseguitando dannati diventa lui stesso barca, eternamente afflitto dal suo ingrato destino».

Mario Zenoni, Caronte (Foto di Maila Stolfi)

In genere predilige la terracotta come materiale per le sue sculture. Così è stato anche per il Divin “Bestiario”. Quali i motivi di questa scelta?

«E’ la materia che prediligo, ma trattandosi di dare corpo a visioni di così rara bellezza nella minuziosa descrizione dantesca, nel tentativo di trasformare poesia in solida immagine, la creta è certamente il materiale che più ‘respira’ l’alito creativo delle mani che la lavorano».

Fino a oggi la sua maggiore fonte di ispirazione sono state figure e personaggi fantastici e mitologici ispirati al mondo pagano, celtico o greco. Scegliere di interpretare il “meraviglioso” tratto da un poema come la Divina Commedia, intriso come è di religiosità e di continui rimandi alla teologia e filosofia cristiane, è stata per lei una curiosità, una sfida d’artista o cosa altro?

«C’è una radicale differenza, mentre il mito nasce dal tramandarsi nel tempo delle gesta eroiche di un uomo o di un dio al punto di diventare una leggenda investita di sacralità (sacrum facere), la parola di Cristo annuncia un messaggio di fratellanza e compassione. Nella Commedia il poeta giudica e condanna, ma con atteggiamento se non compassionevole almeno imparziale, tutto accade per volontà del Signore per il quale Dante ha assoluto rispetto e devozione».

Dopo questa esperienza sente che sia mutato qualcosa nel suo modo di fare scultura, nonché nel suo mondo interiore di artista e di uomo?

«Il ‘modo’ è lo stesso da sempre ma certo il talento creativo del ‘sommo’ è contagioso, uno spirito sensibile non può che lasciarsi andare al fluire di tanta bellezza».

Al centro lo scultore Mario Zanoni, alla sua sx Davide Ranalli e Mario Betti (F.to Silvia Baldacci)
Exit mobile version