La Cgia di Mestre: ancora impossibile quantificare con precisione lo stock del debito
ROMA – Il debito commerciale della Pubblica amministrazione nei confronti dei propri fornitori ammonterebbe a 65 miliardi di euro. Il condizionale è d’obbligo, come spiega la Cgia di Mestre, dal momento che non esistono dati ufficiali.
Sebbene siano trascorsi quasi due anni dall’applicazione della fatturazione elettronica che, secondo le promesse del ministero dell’Economia, doveva consentire alla Pubblica amministrazione di quantificare con precisione lo stock del debito, cifre precise non esistono.
In mancanza di dati ufficiali, l’unico istituto che stima da alcuni anni l’ammontare complessivo del debito è la Banca d’Italia.
«Premesso che gli stessi ricercatori di via Nazionale affermano che il grado di incertezza del risultato a cui sono giunti non è per niente trascurabile, le aziende private – a fronte di forniture, manutenzioni o lavori fatturati alla Pa – vanterebbero crediti per 65 miliardi di euro» spiega la Cgia.
«Di questi, 31 sarebbero di natura fisiologica e 34 da imputare ai ritardi nei pagamenti. Dati sicuramente sottodimensionati e riferiti ancora al 2015» proseguono gli artigiani di Mestre.
Accentuatosi durante la crisi, il fenomeno dei debiti della Pubblica amministrazionesi è ridotto negli ultimi anni. Nel biennio 2013-14 sono stati stanziati 56,2 miliardi di euro. Agli enti debitori sono stati messi a disposizione 44,6 miliardi di euro (pari al 79%) visto che alcuni non ne hanno fatto richiesta.
L’ultimo aggiornamento disponibile (fermo ancora al 20 luglio 2015) evidenzia che i pagamenti hanno toccato quota 38,6 miliardi. Una cifra pari a quasi l’86% delle risorse messe a disposizione.
«Seppure in diminuzione, l’importo del debito della Pubblica amministrazione rimane ancora spaventoso e non ha eguali nel resto d’Europa» aggiunge la Cgia.
«Nonostante i fornitori abbiano l’obbligo dall’inizio di aprile del 2015 di emettere alla Pubblica amministrazione le fatture in via informatica lo Stato non ha ancora una mappatura certa dei debiti a cui deve fare fronte» segnala il coordinatore dell’Ufficio studi, Paolo Zabeo.
«Certo, la lentezza nei pagamenti è dovuta in particolar modo a problemi di liquidità. Ma quanti ne hanno le circa 873.000 imprese che lavorano per il pubblico e che dopo aver eseguito una fornitura o una manutenzione devono aspettare anche 6 mesi prima di essere saldate?» prosegue.
E a conferma delle difficoltà con cui lo Stato gestisce i rapporti commerciali con i propri fornitori Zabeo ricorda che «la Commissione Ue non ha ancora archiviato la procedura di infrazione avviata nel giugno del 2014 nei confronti dell’Italia a seguito della non corretta applicazione della direttiva Ue. La nostra Pubblica amministrazione, infatti, è accusata di saldare i conti in ritardo e non come previsto dalle regole Ue entro 30-60 giorni dall’emissione della fattura».
Oltre a non pagare entro i termini stabiliti dalla direttiva Ue, Bruxelles ha comminato l’infrazione all’Italia anche per altre due ragioni.
«Molti enti pubblici utilizzavano dei contratti dove venivano applicati degli importi dovuti agli interessi legali di mora per il ritardo nei pagamenti significativamente inferiori al limite imposto dalla direttiva europea. Ovvero il tasso di riferimento Bce aumentato dell’8%» afferma Zabeo.
«Inoltre, c’era il malcostume, spesso utilizzato ancora adesso da molte amministrazioni pubbliche, di posticipare i report che descrivevano lo stato di avanzamento dei lavori. Allungando così, in misura del tutto ingiustificata, i tempi di pagamento» conclude.
Secondo il Segretario della Cgia, Renato Mason, invece sono numerose le motivazioni che rendono l’Italia maglia nera nella Ue per la correttezza dei pagamenti. «Le lungaggini burocratiche, il cattivo funzionamento degli uffici pubblici, i vincoli di bilancio imposti da Bruxelles. Ma anche l’abuso di posizione dominante del committente e la mancanza di liquidità sono i motivi principali» spiega.
«Dal 1° gennaio 2013 la legge stabilisce che il pubblico debba pagare entro 30 giorni, salvo non sia un’azienda sanitaria che allora lo può fare entro 60. Ma queste disposizioni continuano a essere spesso disattese, con ricadute molto pesanti soprattutto per le piccole imprese che dispongono di un potere negoziale molto limitato nei confronti degli enti pubblici» afferma Mason.
«Un problema, è bene sottolinearlo, che, purtroppo, non riguarda solo le transazioni commerciali con il pubblico, ma anche tra aziende private. Un malcostume generalizzato che non ha pari nel resto dell’Ue conclude».
Nel confronto internazionale la nostra Pubblica amministrazione presenta un livello di debiti commerciali nettamente superiore. Dai dati forniti dall’Eurostat lo stock di debiti commerciali al 31 Dicembre 2015 in Italia era di 48,9 miliardi di euro (pari al 3% del Pil).
Questi dati non includono i debiti ceduti con la clausola pro soluto a intermediari finanziari e della quasi totalità dei debiti riconducibili alla spesa in conto capitale.
In Spagna, invece, lo stock ammontava a 14,5 miliardi (1,3% del Pil), in Germania a 37,4 miliardi (1,2% di Pil) e in Francia a 26,4 miliardi (1,2% di Pil).