Sono oltre 30000 le visite prenotate prima dell’apertura. E Antonio Paolucci, supervisore e presidente del comitato scientifico dell’evento espositivo annuncia orgoglioso “Non vi deluderemo nemmeno questa volta”
Non solo una mostra. Art Déco. Gli anni ruggenti in Italia, l’evento espositivo in corso dall’11 febbraio al 18 giugno 2017 ai Musei San Domenico di Forlì, è, nelle intenzioni dei curatori, innanzitutto un lavoro di approfondita ricerca e d’indagine originale “come fino a ora nessuno ha mai fatto in Italia”, che “perimetra” e definisce dal punto di vista storico, temporale, critico e formale, quel fenomeno del gusto e del costume, vero e proprio stile di vita, che andò sotto il nome di Art Déco.
Curata da Valerio Terraroli, il massimo esperto italiano in materia, in collaborazione con Claudia Casali, Stefania Cretella e diretta da Gianfranco Brunelli sotto la supervisione di Antonio Paolucci, la mostra già si annuncia di successo, sono infatti oltre trentamila i visitatori prenotatisi prima dell’apertura e il dato si incrementa ogni giorno che passa, mentre media e pubblico stanno riservando una grande attenzione come accade solo per gli eventi di rilievo internazionale.
Il Dèco come arte del glamour
Afferma con evidente soddisfazione Antonio Paolucci: «Con questa mostra abbiamo fatto un’operazione unica e originale, ci siamo mossi basandoci sulla formula, tanto cara al curatore, Valerio Terraroli, dell’Art Déco quale arte del glamour. Nel breve tempo in cui essa si sviluppò diede vita alla decorazione in tutti i campi, in maniera paragonabile solo al periodo Barocco. Con l’Art Déco si comincia a sviluppare un’industria segnata dal gusto del bello che diventa moda del lusso e del glamour, ciò nell’abbigliamento, nell’oggettistica, nel mobile e in tutti i prodotti riconducibili alle arti applicate, prodotti resi fruibili dalla produzione industriale non solo alle classi alte, ma anche alla gente comune. Nasce allora l’idea di industria di massa cui si assiste oggi, dove la bellezza e il glamour riescono a costare anche poco rendendosi alla portata di tutti».
La nascita del Made in Italy
«Il Déco è come l’esplosione di una supernova che abbaglia e poi si esaurisce in breve tempo – fa notare il curatore Valerio Terraroli -, gli anni clou di questo fenomeno sono, infatti, quattro, al massimo cinque, dal ’23 al ’27. Dopo il ’29 si assiste a degli strascichi, ma il testimone passa oltreoceano, in America».
«Nello schema di un’apparente superficialità che contraddistinse gli anni dell’Art Déco – continua il curatore – è possibile intravedere qualcosa di molto più serio, c’è, infatti, in nuce quel fenomeno oggi noto, nonché famoso nel mondo, come Made in Italy. Il gusto italiano nel mondo nasce, infatti, proprio in quel magico momento, che fu di massima esaltazione della creatività e del genio del nostro Paese in tutte le sue espressioni artistiche, a partire, appunto, da quelle applicate, la grande forza italiana sarà l’inventiva nel manifatturiero, oltre il dato del puro artigianato, per diventare industria del gusto, una carta questa da giocare ancora oggi come in futuro. Questa mostra vuole essere anche una provocazione in tal senso e non solo un’operazione storica e di ricerca, è una proposta per il nostro futuro che va al di là della politica e dei governi di turno».
A dar ragione a Terraroli di quest’ultima considerazione furono le profetiche parole pronunciate da Gabriele D’annunzio in occasione della prima Biennale delle Arti decorative tenutasi a Monza nel ’23 e da lui inaugurata in veste di testimonial. Così il Vate si esprimeva: «Ai governi interessa poco o niente di queste manifestazioni, mentre, invece, esse rappresentano il genio italiano». «Quel genio che è stato e che continua a essere l’anima del Made in Italy» ribadisce Terraroli.
La mostra di Forlì
Con 448 opere in mostra, Art Déco. Gli anni ruggenti in Italia, rappresenta uno sguardo che abbraccia a trecentosessanta gradi la produzione artistica, a partire da ogni genere di manufatto artigianale e industriale legato alle arti applicate, del periodo che va dagli anni ’20 agli anni ’30.
Obiettivo dell’esposizione è, soprattutto, mostrare al pubblico il livello qualitativo, l’originalità e l’importanza che le arti decorative moderne hanno avuto nella cultura artistica italiana connotando profondamente i caratteri del Déco anche in relazione alle arti figurative: la grande pittura e la grande scultura.
Sono qui essenziali i racconti delle opere di Galileo Chini, pittore e ceramista, affiancato da grandi maestri, come Vittorio Zecchin e Guido Andloviz, che guardarono a Klimt e alla Secessione viennese; dei maestri faentini Domenico Rambelli, Francesco Nonni e Pietro Melandri; le invenzioni del secondo futurismo di Fortunato Depero e Tullio Mazzotti; i dipinti, tra gli altri, di Severini, Casorati, Martini, Cagnaccio di San Pietro, Bocchi, Bonazza, Timmel, Bucci, Marchig, Oppi, il tutto accompagnato dalla straordinaria produzione della Richard-Ginori ideata dall’architetto Gio Ponti e da emblematici esempi francesi, austriaci e tedeschi fino ad arrivare al passaggio di testimone, agli esordi degli anni Trenta, agli Stati Uniti e al Déco americano
L’ Art Dèco nella società dell’epoca.
Il gusto Déco fu lo stile delle sale cinematografiche, delle stazioni ferroviarie, dei teatri, dei transatlantici, dei palazzi pubblici, delle grandi residenze borghesi: si trattò, soprattutto, di un formulario stilistico, dai tratti chiaramente riconoscibili, che ha influenzato a livelli diversi tutta la produzione di arti decorative, dagli arredi alle ceramiche, dai vetri ai ferri battuti, dall’oreficeria ai tessuti alla moda negli anni Venti e nei primissimi anni Trenta, così come la forma delle automobili, la cartellonistica pubblicitaria, la scultura e la pittura in funzione decorativa.
Le ragioni di questo nuovo sistema espressivo e di gusto si riconoscono in diversi movimenti di avanguardia (le Secessioni mitteleuropee, il Cubismo e il Fauvismo, il Futurismo) cui partecipano diversi artisti quali Picasso, Matisse, Lhote, Schad, mentre tra i protagonisti internazionali del gusto vanno menzionati almeno i nomi di Ruhlmann, Lalique, Brandt, Dupas, Cartier, così come la ritrattistica aristocratica e mondana di Tamara de Lempicka e le sculture di Chiparus, che alimenta il mito della danzatrice Isadora Duncan.
Il gusto Déco in Italia
La mostra di Forlì ha soprattutto una declinazione italiana, dando ragione delle biennali internazionali di arti decorative di Monza del 1923, del 1925, del 1927 e del 1930, oltre naturalmente dell’expo di Parigi 1925 e 1930 e di Barcellona 1929. Il fenomeno Déco attraversò con una forza dirompente il decennio 1919-1929 con arredi, ceramiche, vetri, metalli lavorati, tessuti, bronzi, stucchi, gioielli, argenti, abiti impersonando il vigore dell’alta produzione artigianale e proto industriale e contribuendo alla nascita del design e del Made in Italy.
La richiesta di un mercato sempre più assetato di novità, ma allo stesso tempo nostalgico della tradizione dell’artigianato artistico italiano, aveva fatto letteralmente esplodere negli anni Venti una produzione straordinaria di oggetti e di forme decorative: dagli impianti di illuminazione di Martinuzzi, di Venini e della Fontana Arte di Pietro Chiesa, alle ceramiche di Gio Ponti, Giovanni Gariboldi, Guido Andloviz, dalle sculture di Adolfo Wildt, Arturo Martini e Libero Andreotti, alle statuine Lenci o alle originalissime sculture di Sirio Tofanari, dalle bizantine oreficerie di Ravasco agli argenti dei Finzi, dagli arredi di Buzzi, Ponti, Lancia, Portaluppi alle sete preziose di Ravasi, Ratti e Fortuny, come agli arazzi in panno di Depero.
Non si è mai allestita in Italia una mostra completa dedicata a questo variegato mondo di invenzioni, che non solo produce affascinanti contaminazioni con il gusto moderno – si pensi per esempio al quartiere Coppedè a Roma o al Vittoriale degli Italiani, ultima residenza di Gabriele d’Annunzio – ma evoca atmosfere dal mondo mediterraneo della classicità, così come la scoperta nel 1922 della tomba di Tutankhamon rilanciò in Europa la moda dell’Egitto. E poi echi persiani, giapponesi, africani a suggerire lontananze e alterità, sogni e fughe dal quotidiano, in un continuo e illusorio andirivieni dalla modernità alla storia. Trattandosi di un gusto e di uno stile di vita non mancarono influenze e corrispondenze col cinema, il teatro, la letteratura, le riviste, la moda, la musica.
Da Hollywood (con le Parade di Lloyd Bacon o le dive, come Greta Garbo e Marlene Dietrich o divi come Rodolfo Valentino) alle pagine indimenticabili de Il grande Gatsby (1925), di Francis Scott Fitzgerald, ad Agata Christie, a Oscar Wilde, a Gabriele DAnnunzio
Il percorso espositivo
Il percorso espositivo della mostra ai Musei San Domenico di Forlì si presenta al visitatore come una grande camera delle meraviglie, spettacolare e raffinata, con un allestimento curatissimo e perfettamente in linea con il gusto del bello e con il piacere per il lusso e la
decorazione che hanno caratterizzato lo stile dell’Art Déco. Sia che si trattasse di un abito, di un accessorio, di un oggetto, di un gioiello, di un mobile oppure di un’automobile o del vagone di un treno, come quello ricostruito con pezzi originali dell’epoca e che si può ammirare in mostra, tutto doveva corrispondere a uno stile di vita improntato al glamour e a un gusto innovativo e moderno.
Nonostante delle forzature nel ricondurre alcuni artisti, di cui sono esposti dei lavori, all’interno del fenomeno Dèco (si pensa ad esempio a Wildt, De Chirico, Lempicka, Casorati), Art Déco. Gli anni ruggenti in Italia è una mostra godibile e colta, che, comunque, merita di essere visitata.