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Alle aziende un dipendente costa quasi il doppio dello stipendio netto

Dati Assolombarda: crescono le stime sul PIL per il 2021 (+6,4%) e le nascite di nuove imprese. Aumentano, invece, le criticità sulle catene di approvvigionamento

Indagine Cgia di Mestre: a confronto le buste paga di due lavoratori dipendenti del settore metalmeccanico

Tasse e contributi previdenziali esagerati nello stipendio riducono la capacità di spesa

ROMA – Il costo del lavoro, negli ultimi anni, è stato uno dei temi caldi per le aziende alle prese con la crisi economica e il taglio dei dipendenti.

Un problema che non riguarda solo le imprese che hanno delocalizzato alla ricerca di manodopera a basso costo e misure fiscali più favorevoli. Anche per i lavoratori le tasse e i contributi previdenziali continuano ad alleggerire in maniera eccessiva i salari e gli stipendi. Con la conseguenza che la capacità di spesa degli italiani è bassa.

È quanto emerge da un’indagine dell’Ufficio studi della Cgia di Mestre, che ha confrontato le buste paga di 2 lavoratori dipendenti entrambi occupati nel settore metalmeccanico dell’industria.

Il primo caso

Riguarda un operaio con uno stipendio mensile netto di poco superiore ai 1.350 euro. Al suo titolare costa, invece, un po’ meno del doppio: 2.357 euro. Questo importo è dato dalla somma della retribuzione lorda (1.791 euro) e dal prelievo contributivo a carico dell’imprenditore (566 euro). Il cuneo fiscale (dato dalla differenza tra il costo per l’azienda e la retribuzione netta) è pari a 979 euro che incide sul costo del lavoro per il 41,5%.

Il secondo caso

Si riferisce a un impiegato con una busta paga netta di poco superiore a 1.700 euro. In questa ipotesi, il datore di lavoro deve farsi carico di un costo di oltre 3.200 euro. Importo, quest’ultimo, quasi doppio rispetto allo stipendio netto erogato.

Questa cifra è composta dalla retribuzione mensile lorda (2.483 euro) a cui si aggiungono i contributi mensili versati dal titolare dell’azienda (729 euro). Il cuneo fiscale è di 1.503 euro e incide sul costo del lavoro per il 46,8%.

Il bonus di 80 euro

Negli ultimi anni, comunque, la situazione è un po’ migliorata. E anche se quasi 1 milione di persone su 11,9 milioni che hanno beneficiato degli 80 euro nel 2015 è stato costretto a restituirli interamente, l’introduzione del bonus Renzi e il taglio dell’Irap avvenuto nel 2015 sul costo del lavoro ai dipendenti assunti con un contratto a tempo indeterminato hanno garantito una riduzione del carico fiscale di circa 14 miliardi di euro.

Inoltre, sebbene la metà dei 9 miliardi di euro annui che servono per coprire la spesa del bonus Renzi sia finita nelle tasche di dipendenti che vivono in famiglie con redditi medio-alti, è altrettanto vero che secondo un’indagine realizzata dalla Banca d’Italia il 90% delle famiglie che percepiscono questa agevolazione hanno dichiarato di averla spesa e di aver destinato il restante 10% al risparmio e al rimborso di debiti.

In altre parole, nonostante la metà dei destinatari non fosse costituita da lavoratori a basso reddito, buona parte di questo bonus è stato speso per gli acquisti, a dimostrazione che se si rendono più pesanti le buste paga la gente torna a spendere e a far ripartire i consumi interni, la componente più importante del Pil nazionale.

Il commento della Cgia

“Oltre a tagliare l’Irpef è necessario intervenire anche sulla riduzione del prelievo in capo al datore di lavoro che in Italia è tra i più elevati d’Europa” afferma il Coordinatore dell’Ufficio Studi, Paolo Zabeo.

“Secondo l’Ocse, infatti, tra gli oltre 30 Paesi più industrializzati del mondo solo Francia, Repubblica Ceca ed Estonia hanno un carico contributivo per dipendente superiore al nostro. Una situazione che ci impone non tanto di tagliare l’aliquota previdenziale che, in un sistema ormai contributivo, danneggerebbe i dipendenti, ma di proseguire con maggiore determinazione nella riduzione delle tasse sulle imprese” aggiunge.

“Per far ripartire con forza la domanda interna – sottolinea il segretario della Cgia, Renato Mason – è necessario, tra le altre cose, aumentare il numero degli occupati e lasciare a questi ultimi più soldi in tasca”.

“Vista la scarsa disponibilità di liquidità delle imprese, nel prossimo futuro sarà sempre più difficile erogare importanti aumenti di stipendio attraverso i rinnovi contrattuali. Per tale ragione, quindi, è indispensabile incentivare la diffusione del welfare aziendale come forma di beneficio economico” conclude.

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