L’associazione dei consumatori: “La magistratura verifichi le responsabilità di possibili ‘mandanti’ sui social”
ROMA – I carabinieri di Pavia hanno arrestato quattro giovani, mentre altri sei sono stati denunciati, tutti accusati di far parte di una baby gang di Vigevano. Secondo quanto ricostruito dai militari, i ragazzi finiti nei guai agivano nei pressi delle stazioni ferroviarie.
Come spiegano i carabinieri “i giovani bulli minorenni violentavano e picchiavano, agendo da vero e proprio ‘branco’ e prendendo di mira i soggetti ritenuti più deboli, incapaci di difendersi, scegliendoli tra compagni di classe o vicini di casa”.
Una delle vittime è uno studente di 15 anni, che ha subìto “violenze fisiche e umiliazioni, che venivano riprese con i telefonini per ridicolizzarlo con gli altri e aumentare il suo stato di prostrazione, fino a realizzare una vera e propria sudditanza dello stesso nei confronti del branco”.
Sulla vicenda è intervenuto anche il Codacons, che ora chiede di estendere le indagini ai social network. Per l’associazione dei consumatori dietro i gravissimi atti di violenza compiuti dalla baby gang di Vigevano “potrebbero esserci gruppi organizzati su Facebook che incitano all’odio, allo stupro di gruppo e alla brutalità verso soggetti deboli, donne e disabili”.
“Abbiamo già denunciato alle Procure della Repubblica gruppi sorti su Facebook e nomi e cognomi dei loro creatori e responsabili tra cui Welcome To Favelas, Pastorizia Never Dies, Sesso Droga E Pastorizia, La Fabbrica Del Degrado, Punta Della Lancia” spiega il Codacons.
“In questi gruppi membri e amministratori in totale libertà inneggiano a stupri di gruppo e violenze di ogni tipo – aggiunge l’associazione -. Gruppi estremamente pericolosi, perché possono avere effetti negativi sui più giovani spingendoli a compiere gesti brutali come quelli avvenuti a Vigevano”.
“Per questo chiediamo oggi alla magistratura di verificare se i ragazzi che costituivano la baby gang di Vigevano avessero rapporti con gruppi Facebook analoghi a quelli da noi denunciati, e se vi siano eventuali responsabilità di soggetti terzi in qualità di possibili “mandanti” o istigatori delle violenze e degli stupri perpetrati dal branco” prosegue il Codacons.
“La Corte di Cassazione si è infatti espressa di recente affermando che anche ciò che viene pubblicato su Facebook può costituire reato ai fini del codice penale” conclude l’associazione.