Rapporto Agromafie 2017 di Coldiretti: nel 2016 per la criminalità organizzata giro d’affari da 21,8 miliardi
ROMA – Dalla Camorra alla N’drangheta, i più noti clan di mafia si dividono il business della tavola mettendo le mani sui prodotti simbolo del made in Italy.
A lanciare l’allarme è la Coldiretti che oggi a Roma ha presentato il quinto rapporto #Agromafie2017 sui crimini agroalimentari in Italia. Il dossier è stato elaborato assieme ad Eurispes e Osservatorio sulla criminalità nell’agricoltura e sul sistema agroalimentare. Coldiretti, nell’occasione, ha allestito anche una “tavola delle cosche” con i prodotti frutto dei business specifici dei diversi clan mafiosi, camorristici e ‘ndranghetisti.
Gli agrumi dei Piromalli e l’olio di Messina Denaro
Dalle infiltrazioni nel settore ortofrutticolo del clan Piromalli all’olio extra vergine di oliva di Matteo Messina Denaro fino alle imposizioni della vendita di mozzarelle di bufala del figlio di Sandokan del clan dei Casalesi e al controllo del commercio della carne da parte della ‘ndrangheta e di quello ortofrutticolo della famiglia di Totò Riina, la lista degli interessi della mafia nell’agroalimentare è lunga.
Solo nell’ultimo anno le forze dell’ordine hanno messo a segno diverse operazioni contro le attività della malavita organizzata, con arresti, sequestri e confische contro personaggi di primissimo piano della mafia che hanno deciso di investire ed appropriarsi di vasti comparti dell’agroalimentare e dei guadagni che ne derivano, distruggendo la concorrenza e il libero mercato legale e soffocando l’imprenditoria onesta.
Nel febbraio scorso i Carabinieri del Ros hanno smascherato le attività criminali in Calabria della cosca di ‘ndrangheta Piromalli che controllava la produzione e le esportazioni di arance, mandarini e limoni verso gli Stati Uniti, oltre a quelle di olio attraverso una rete di società e cooperative.
Nello stesso mese ancora gli uomini dell’Arma hanno confiscato 4 società siciliane operanti nel settore dell’olivicoltura riconducibili a Matteo Messina Denaro e alla famiglia mafiosa di Campobello. Attraverso la gestione occulta di oleifici e aziende, intestate a prestanome, il boss era in grado di monopolizzare il remunerativo mercato olivicolo.
Sempre agli inizi di febbraio i carabinieri hanno arrestato Walter Schiavone, figlio capoclan dei Casalesi Francesco “Sandokan” Schiavone. L’accusa è di imporre la fornitura di mozzarella di bufala Dop prodotta da un caseificio di Casal di Principe a distributori casertani e campani, ma anche in altre parti d’Italia, come in Calabria.
A novembre 2016 è la Dia a mettere a segno il sequestro dei beni di un imprenditore dei trasporti siciliano considerato lo snodo degli affari che il clan dei Casalesi conduce assieme al fratello di Totò Riina, Gaetano, per monopolizzare il trasporto di frutta e verdura da Roma in giù, grazie anche al controllo del grande mercato di Fondi, nell’agro-pontino.
A giugno la Guardia di Finanza mette a segno un blitz contro il clan camorristico Lo Russo. La cosca aveva il monopolio della distribuzione di pane e l’imposizione del prezzo di vendita, a grossi supermercati, a botteghe e agli ambulanti domenicali della zona.
Reggio Calabria, Genova e Verona sul podio delle Agromafie
Il quinto Rapporto Agromafie 2017 calcolata anche l’intensità del fenomeno per provincia sulla base dei risultati delle azioni di contrasto specifiche poste in essere dalle diverse forze dell’ordine.
Nella classifica, nonostante una concentrazione del fenomeno soprattutto nel Mezzogiorno, spicca la presenza nella top ten di rilevanti realtà del Nord come Genova e Verona rispettivamente al secondo ed al terzo posto dopo Reggio Calabria per i traffici finalizzati al ricco business del falso made in Italy.
Per quanto riguarda Genova il dato emerso è particolarmente elevato a causa di un diffuso sistema di contraffazione ed adulterazione nella filiera olearia nelle fasi di lavorazione industriale ed approvvigionamento dall’estero di oli di minore qualità da spacciare come italiani.
A tali aspetti si sono poi aggiunte le operazioni di contrasto delle Forze dell’ordine sia nel territorio sia in ambito marittimo e portuale, che hanno comportato il sequestro di prodotti agricoli esteri vietati o adulterati (ad esempio, farine OGM e oli di palma).
In provincia di Verona l’intensità dell’agromafia risulta significativa soprattutto per il fenomeno dell’importazione di suini dal Nord Europa e indebitamente marchiati come nazionali sia per gli interventi delle Forze dell’ordine a contrasto dell’adulterazione di bevande alcoliche e superalcolici come nel caso della rinomata grappa locale.
Nonostante il crescente ruolo giocato dalla mafia nel Settentrione, è nel Mezzogiorno che esprime una maggiore e nociva diffusione. Nello specifico, tra le province che entrano nella “top ten” per un livello alto di criminalità organizzata del tipo dell’agromafia, ne sono state rilevate due in Calabria (Reggio Calabria, prima nella graduatoria nazionale, oltre a Catanzaro) e tre in Sicilia (Palermo, Caltanissetta e Catania), due in Campania (Caserta e Napoli) e una in Puglia (Bari).
Per quel che riguarda le province calabresi, la casistica criminosa è particolarmente ampia: dal controllo delle produzioni agricole e della pastorizia, con il relativo indotto occupazionale, agli incendi boschivi, dalla adulterazione dei prodotti oleari, caseari e vinicoli fino al preoccupante il crescente fenomeno dell’abigeato. Nel territorio siciliano oltre all’abigeato sono state rilevate massicce infiltrazioni nel mercato ortofrutticolo (dagli agrumi alla frutta fino agli ortaggi a foglia) e nella pesca (in particolar modo a Caltanissetta).
Significativi anche i furti di macchinari agricoli e i danneggiamenti delle colture, fenomeni da associarsi alle fattispecie criminose che ne sono la causa (estorsioni, usura, racket estorsivo). Il nuovo interesse della mafia è invece quello per le plastiche da confezionamento ed imballaggio, a testimonianza della pervasività del tessuto criminale in ogni stadio della filiera.
Nel 2016 giro d’affari per la mafia da 21,8 miliardi di euro
Il volume d’affari complessivo annuale dell’agromafia è salito a 21,8 miliardi di euro con un balzo del 30% nell’ultimo anno. La stima rimane, con tutta probabilità, ancora largamente approssimativa per difetto.
Restano infatti inevitabilmente fuori i proventi derivanti da operazioni condotte “estero su estero” dalle organizzazioni criminali, gli investimenti effettuati in diverse parti del mondo, le attività speculative poste in essere attraverso la creazione di fondi di investimento operanti nelle diverse piazze finanziarie. Ma anche il trasferimento formalmente legale di fondi attraverso i money transfer in collaborazione con fiduciarie anonime e la cosiddetta banca di “tramitazione”, che veicola il denaro verso la sua destinazione finale.
La filiera del cibo, della sua produzione, trasporto, distribuzione e vendita, ha tutte le caratteristiche necessarie per attirare l’interesse di organizzazioni che via via abbandonano l’abito “militare” per vestire il “doppiopetto” e il “colletto bianco”, come si diceva un tempo, riuscendo così a scoprire e meglio gestire i vantaggi della globalizzazione, delle nuove tecnologie, dell’economia e della finanza 3.0.
Sul fronte della filiera agroalimentare la mafia dopo aver ceduto in appalto ai manovali l’onere di organizzare e gestire il caporalato e altre numerose forme di sfruttamento, condiziona il mercato stabilendo i prezzi dei raccolti, gestendo i trasporti e lo smistamento, il controllo di intere catene di supermercati, l’esportazione del nostro vero o falso Made in Italy, la creazione all’estero di centrali di produzione dell’Italian sounding e la creazione ex novo di reti di smercio al minuto.