Inquinanti atmosferici, emissioni di polveri sottili domestiche aumentano


Rapporto ENEA sugli effetti dell’inquinamento dell’aria evidenzia rischi per la salute e per il patrimonio culturale

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Il controllo delle emissioni auto

ROMA – Dal 1990 ad oggi in Italia le emissioni dei cinque principali inquinanti identificati dall’Unione europea come i più dannosi per la salute e gli ecosistemi naturali sono in calo. Il segno meno riguarda in particolare biossido di zolfo (-93%), monossido di carbonio (-69%), ossidi di azoto (-61%), composti organici volatili non metanici (-57%) e polveri sottili PM2,5 (-31%).

I dati emergono dal rapporto sugli effetti dell’inquinamento dell’aria dell’ENEA, che ha curato il coordinamento e la pubblicazione dei contenuti scientifici elaborati dai maggior esperti nazionali in materia.

Miglioramento dell’efficienza energetica, diffusione delle rinnovabili, limiti di emissione più stringenti nei settori energia e industria, carburanti e autovetture più ‘puliti’ e l’introduzione del gas naturale nella produzione elettrica e negli impianti di riscaldamento domestici sono alcuni tra i fattori che hanno migliorato la situazione.

In alcuni settori però le criticità restano. L’agricoltura, in particolare la gestione dei reflui animali, fa registrare la più piccola percentuale di riduzione degli inquinanti. A fronte di un comparto responsabile di oltre il 95% delle emissioni di ammoniaca, la contrazione è stata pari solo al 17%.

Non va meglio nel settore civile, che ha registrato un incremento del 46% delle emissioni di PM2,5 rispetto ai valori del 1990, principalmente per l’aumento dell’uso di biomassa in impianti di riscaldamento a bassa efficienza.

“Le emissioni di ossidi di azoto da trasporto stradale non si sono ridotte quanto atteso con l’introduzione degli standard Euro per le macchine a gasolio. I test su strada mostrano che le emissioni nei cicli reali di guida sono più alte rispetto alle emissioni misurate nei test di omologazione” aggiunge Alessandra De Marco, ricercatrice del Laboratorio Inquinamento Atmosferico dell’ENEA e tra i coordinatori del rapporto.

“In Italia resta ancora alto l’impatto negativo dell’inquinamento atmosferico sulla salute e gli ecosistemi nonostante le riduzioni delle concentrazioni osservate negli ultimi due decenni” spiega Gabriele Zanini, responsabile della divisione ‘Modelli e tecnologie per la riduzione degli impatti antropici e dei rischi naturali’ dell’ENEA.

“Oltre ad essere a rischio biodiversità e produttività agricola, sono in aumento tra la popolazione malattie respiratorie e cardiovascolari. Da solo il particolato fine causa circa 30mila decessi ogni anno, come risulta da un recente studio a cui abbiamo partecipato. In termini di mesi di vita persi, l’inquinamento accorcia la vita di ciascun italiano di 10 mesi in media: 14 per chi vive al nord, 6,6 al centro e 5,7 al sud e nelle isole” aggiunge.

Per Zanini “nonostante i significativi progressi dal 1990 a oggi i più recenti scenari emissivi sviluppati dall’ENEA mostrano che siamo ancora lontani dal raggiungimento dei limiti previsti dalla direttiva NEC dell’Ue sui tetti alle emissioni al 2030, in particolare per PM2,5, composti organici volatili non metanici e ammoniaca”.

“Ma per ridurre le emissioni sono disponibili differenti misure, da un uso più efficiente della legna da ardere nel settore residenziale, all’introduzione di una dieta a basso tenore di azoto negli allevamenti o ad un uso più efficiente dell’urea come fertilizzante” prosegue.

“Accanto alle misure tecnologiche, occorre promuoverne altre che interessino direttamente le abitudini e gli stili di vita dei cittadini, quali il ricorso a una dieta meno proteica o l’uso di mezzi di trasporto pubblici e meno inquinanti” conclude Zanini.

“Tecnologie a parte in città le foreste urbane possono contribuire alla riduzione dell’inquinamento perché sono in grado di catturare gli inquinanti come polveri sottili e ozono. Un nostro studio sulla città di Firenze, realizzato in collaborazione con CNR e Università di Firenze, ha dimostrato come gli alberi in città possano abbattere del 13% il PM10 e del 5% l’ozono. Molto problematica, invece, la conservazione dei beni culturali, dove sempre un studio mostra un rischio corrosione del 26% dei siti archeologici e del 17% di chiese e conventi storici” conclude De Marco.