La versione teatrale, con la regia di Alberto Rizzi, sarà al Teatro Camploy il 24 marzo
ROMA – Lo spettacolo, l’Iliade di Alessandro Baricco, presentato in anteprima un anno fa proprio a Verona, torna a “casa” per l’ultima replica di questa stagione dopo una ricca tournée che ha goduto di ottimi riscontri di pubblico e di critica. In scena cinque attori: Diego Facciotti, Alberto Mariotti, Enrico Ferrari, Ilenia Sbarufatti, Margherita Varricchio guidati dalla regia di Alberto Rizzi.
La storia epica e immortale della guerra di Troia trova vita forza, energia grazie alla traduzione tagliente, immediata e efficacissima della Ciani e dialoga empaticamente col pubblico tramite le operazioni stilistiche introdotte da Alessandro Baricco. Sono le voci dei protagonisti infatti che si prendono l’onere e l’onore di narrarci la storia di Ilio. Eroi o semplici soldati, regine o schiave che si alternano nel racconto: ci guardano negli occhi, sono Uomini e Donne. Perfettamente umani. Le ragioni che muovono i personaggi nell’Iliade di Baricco sono totalmente umane avendo l’autore eliminato gli influssi divini: le azioni escono dalla (a noi lontana) cultura dell’eroismo e dell’ananke, della necessità. Baricco abbraccia il moderno pensiero critico e si attiene solo alle azioni umane, senza risparmiarsi nulla.
La messa in scena è fedele al testo omerico, fedele alla riduzione di Baricco e fedele allo stile registico di Alberto Rizzi: visionario ed evocativo. Rizzi sposta l’intera azione dentro una cucina. Per Rizzi infatti la cucina è la visione scenica che compensa per contrapposizione l’immensità il-limitata della spiaggia campo di battaglia e sede degli accampamenti: l’eco visivo e fisico di questa interiorizzazione. La cucina elevata a contenitore di una rabbia domestica, luogo assoluto di ogni violenza possibile: di quell’ira funesta che è il motore immobile dell’opera di Omero e di Baricco e quindi dello spettacolo. “La cucina, per eccellenza fulcro della vita domestica, luogo supremo della vita e della morte. Luogo di un’epica ed interminabile battaglia.” (cit. Alberto Rizzi). Stranieri radunati loro malgrado nell’esercito di Agamennone, gli attori protagonisti sono coinquilini forzati dell’accampamento che dovrebbero perseguire un fine comune, ma che si perdono nelle rivendicazioni personali, nei sentimenti privati, singoli, nelle conflittualità della convivenza. La grande violenza omerica diventa la violenza dentro le mura domestiche: una rabbia familiare e adolescenziale, una violenza cieca e capricciosa. La cucina ovviamente è solo evocata, in linea con gli allestimenti di Ippogrifo e con le regie di Rizzi. Tavoli, sedie e tutto quanto è a disposizione degli attori diventa altro in un rocambolesco e continuo cambio di scena