Tra svalutazione della Sterlina e protezionismo sono in crisi le esportazioni dei nostri prodotti di punta
LONDRA – Dalla riduzione del 7% delle esportazioni alimentari al taglio del 7,3% degli autoveicoli fino al calo del 13,9% del tessile, l’effetto Brexit si fa sentire sulle esportazioni dei simboli del made in Italy.
In Gran Bretagna complessivamente si registra un brusco contenimento del 3,3% negli acquisti di prodotti italiani secondo un’analisi della Coldiretti su dati Istat relativi al commercio estero dell’Italia a febbraio.
“Comincia a farsi sentire l’effetto della svalutazione della Sterlina ma forse anche un atteggiamento più nazionalista da parte degli inglesi che porta alla sostituzione dei prodotti di importazione” spiega la Coldiretti.
“A preoccupare sono anche le nuove forme di protezionismo favorite dalla moltiplicazione di normative tecniche che di fatto ostacolano la libera circolazione delle merci” denuncia il presidente della Coldiretti Roberto Moncalvo.
Oltre alla Brexit, infatti, “il 90% dei supermercati inglesi ha già adottato un sistema di etichettatura degli alimenti a semaforo nonostante sia in corso una procedura di infrazione della Unione Europea” aggiunge Moncalvo.
“Si tratta di un sistema che boccia ingiustamente quasi l’85% del made in Italy a denominazione di origine (Dop) che la stessa Unione Europea deve invece tutelare e valorizzare” spiega ancora il presidente della Coldiretti.
Ad essere colpiti sono tra gli altri le prime tre specialità italiane Dop più vendute all’estero come il Grana Padano, il Parmigiano Reggiano ed il prosciutto di Parma. Ma si arriva addirittura a colpire anche l’extravergine di oliva, considerato il simbolo della dieta mediterranea che ha garantito all’Italia di classificarsi tra 163 Paesi al vertice del “Bloomberg Global Health Index” per la popolazione maggiormente in salute a livello mondiale.
“L’obiettivo del semaforo era quello di diminuire il consumo di grassi, sali e zuccheri ma – conclude Coldiretti – non basandosi sulle quantità effettivamente consumate ma solo sulla generica presenza di un certo tipo di sostanze, finisce per escludere paradossalmente dalla dieta alimenti come l’olio extravergine d’oliva e per promuovere, al contrario, le bevande gassate senza zucchero, fuorviando i consumatori rispetto al reale valore nutrizionale”.