Il report annuale del Centro di Referenza Nazionale per le Indagini Diagnostiche sui Mammiferi marini mostra un incremento nel corso del 2016
ROMA – Nel corso del 2016 sono 256 i cetacei spiaggiati lungo le coste italiane e la maggior parte dei casi si registra in Sicilia e Calabria con 41 ritrovamenti ciascuna. Lo rileva, nel report annuale, il Centro di Referenza Nazionale per le Indagini Diagnostiche sui Mammiferi marini spiaggiati (C.Re.Di.Ma), istituito dal Ministero della Salute presso l’Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta.
Il report completo, disponibile a questo link , mostra come il numero di cetacei spiaggiati sia ampiamente superiore a quello evidenziato negli ultimi anni.
Una delle cause principali è un evento di mortalità anomala (Unusually Mortality Event-UME) verificatosi dal mese di Luglio lungo il tratto ionico delle Regioni Puglia, Calabria e Sicilia. Qui il numero di esemplari spiaggiati è risultato quasi quintuplicato.
“Proprio in questo periodo è stato rilevato un aumento delle positività al Morbillivirus in concomitanza con il riscontro inusuale di lesioni microscopiche compatibili con un’infezione acuta sub-acuta nella maggior parte dei soggetti” si legge ancora nel report.
In generale, gli istituti Zooprofilattici, coordinati dal C.Re.Di.Ma, hanno effettuato necroscopie sul 39% degli esemplari avanzando un’ipotesi di causa di morte in oltre la metà dei soggetti. Sui cetacei spiaggiati è stato possibile inoltre eseguire esami virologici, microbiologici, parassitologici, istologici e sierologici per la ricerca dei principali patogeni conosciuti nei mammiferi marini.
Rispetto alle cause di origine infettiva, come negli anni precedenti, è stata evidenziata la persistente circolazione di agenti virali, come appunto Morbillivirus, ma anche Herpesvirus, protozoari, Toxoplasma gondii, e la presenza sporadica di altri agenti virali come il Poxvirus.
La percentuale di spiaggiamenti di cetacei legati ad interazione con l’attività umana rimane elevata anche se in linea con quanto osservato negli anni precedenti.
Nel 35% dei casi, infine, non è stato possibile avanzare ipotesi per le cause del decesso, molto spesso a causa del cattivo stato di conservazione delle carcasse esaminate.