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Nel 2065 in Italia 7 milioni di residenti in meno e fuga dal Sud

istat popolazione italiana

La popolazione totale ammonterebbe a 53,7 milioni nel 2065

Le previsioni dell’Istat sul futuro demografico del nostro Paese

Risulta altamente probabile un progressivo spostamento del peso della popolazione dal Mezzogiorno al Centro-Nord del Paese

ROMA – Nel 2065 l’Italia avrà meno italiani residenti e la maggior parte vivrà al Centro-Nord, con una nuova emigrazione dalle regioni meridionali. È lo scenario sul futuro demografico del nostro Paese disegnato dall’Istat nelle “previsioni regionali della popolazione residente al 2065”.

Secondo l’Istituto di statistica sulla base dello scenario di previsione “mediano” la popolazione residente è prevista in lieve decrescita nel prossimo decennio: da 60,7 milioni al 1° gennaio 2016 (punto base delle previsioni) a 60,4 milioni nel 2025 per un tasso di variazione medio annuo pari al -0,5 per mille.

In una prospettiva di medio termine, invece, la diminuzione della popolazione risulterebbe già molto più accentuata: da 60,4 milioni a 58,6 milioni tra il 2025 e il 2045, pari a un tasso di variazione medio annuo che, triplicandosi rispetto a quello della prima fase, si porta al -1,5 per mille. È nel lungo termine, tuttavia, che le conseguenze della dinamica demografica prevista nello scenario mediano sulla popolazione totale si fanno più importanti.

Tra il 2045 e il 2065, infatti, la popolazione diminuirebbe di ulteriori 4,9 milioni, registrando una riduzione medio annua del 4,4 per mille. Sotto tale ipotesi la popolazione totale ammonterebbe a 53,7 milioni nel 2065, conseguendo una perdita complessiva di 7 milioni di residenti rispetto a oggi.

Lo spopolamento del Sud e delle Isole

Non partiranno con la valigia di cartone in mano come negli anni ’50, ma nei prossimi decenni gli italiani che lasceranno il Sud e le Isole saranno sempre di più.

Nello sviluppo previsto per il Centro-Nord e per il Mezzogiorno le dinamiche della popolazione risultano inizialmente contrapposte. Secondo lo scenario mediano nel breve termine si prospetta che Nord-Ovest (+0,6 per mille annuo fino al 2025), Nord-Est (+0,7) e Centro (+1,1) possano godere di una variazione medio annua positiva mentre per Sud (-2,9) e Isole (-3) si prospetta fin da subito un calo della popolazione.

Nel periodo intermedio di previsione (2025-2045) Nord-Ovest, Nord-Est e Centro affrontano una sostanziale stazionarietà mentre nel Sud e nelle Isole il calo demografico subisce un’ulteriore accelerazione nella misura di un -4,8 per mille annuo.

Nel lungo termine (2045-2065) il bilancio demografico negativo di queste due ripartizioni tende a farsi ancor più rilevante. Il ritmo annuo di diminuzione passa al -8,3 per mille nel Sud e al -7,9 per mille nelle Isole. Nel 2065 i residenti risulterebbero pari a 10,6 milioni nel Sud e a 5,1 nelle Isole, ben un quarto in meno per entrambe rispetto a oggi.

Il Centro-Nord, superati i primi trent’anni di previsione con un bilancio demografico positivo, conoscerebbe anch’esso, dal 2045 in avanti, un progressivo declino della popolazione: del -2,4 per mille all’anno nel Nord-Ovest, del -3 per mille nel Nord-Est e del -2,8 per mille nel Centro. A conclusione del ciclo previsivo anche in queste ripartizioni risiederebbe un numero inferiore di individui rispetto a oggi: 15,5 milioni nel Nord-Ovest, 11 milioni nel Nord-Est e 11,5 milioni nel Centro.

Per l’Istat la situazione che riguarda “l’evoluzione della popolazione totale nelle ripartizioni geografiche è contrassegnata da una profonda incertezza”. Al Centro-Nord, infatti, “tale incertezza si traduce nell’impossibilità di poter determinare con sicurezza la direzione del cambiamento demografico, se cioè orientato alla crescita, come indicato dai limiti superiori dell’intervallo di confidenza al 2065, ovvero alla decrescita guardando a quelli inferiori”.

In nessun caso, al contrario, si potrebbe verificare che le popolazioni del Sud e delle Isole possano intraprendere un percorso di crescita”. Appare certa, in altri termini, una loro riduzione ma con margini di variazione abbastanza ampi: tra 9,3 e 11,9 milioni i residenti previsti nel Sud al 2065, tra 4,5 e 5,7 milioni quelli nelle Isole.

Ciò che risulterebbe altamente probabile, invece, è un progressivo spostamento del peso della popolazione dal Mezzogiorno al Centro-Nord del Paese. Secondo lo scenario mediano, ad esempio, nel 2065 il Centro-nord accoglierebbe il 70,8% dei residenti contro il 65,6% di oggi, il Mezzogiorno invece arriverebbe ad accoglierne il 29,2% contro il 34,4%.

Saldo migratorio con l’estero positivo ma incerto

Nella futura dinamica demografica del Paese, spiega l’Istat, un contributo determinante sarà quello esercitato dalle migrazioni con l’estero. Nello scenario mediano si assume una quota annua di immigrati dall’estero che si mantiene a lungo poco sotto il livello delle 300mila unità, per poi gradualmente scendere fino al livello delle 270mila unità annue entro il 2065. Secondo tale ipotesi si prevede che nell’intervallo temporale fino al 2065 immigrino complessivamente in Italia 14,4 milioni d’individui.

Dopo una prima fase di lieve diminuzione, da 157 a 132mila tra il 2016 e il 2035, gli emigrati per l’estero presentano a loro volta un’evoluzione stabile nel medio e lungo termine, intorno a un valore medio di 130mila unità annue dal 2035 in avanti. In totale sarebbero 6,7 milioni gli emigrati dall’Italia nell’intero arco di proiezione.

Il saldo migratorio con l’estero risultante in base allo scenario mediano è, pertanto, ampiamente positivo: da un valore iniziale di +135mila unità nel 2016 a un massimo di +162mila nel 2035, cui segue una continua e regolare flessione che riconduce tale indicatore al livello di +139mila nel 2065.

Visto in termini relativi, il tasso migratorio netto con l’estero cresce dal 2,2 per mille nel 2016 a un massimo del 2,7 nel 2035, quindi registra una lieve flessione al 2,6 per mille entro il 2065. Si prevede, inoltre, che tutto il Paese nella sua articolazione territoriale possa usufruire di saldi migratori con l’estero positivi, in particolar modo le aree del Centro-Nord ma non escluse quelle del Mezzogiorno.

Le migrazioni interregionali favoriranno ancora il Centro-Nord

Un’ulteriore componente demografica presa in considerazione dall’Istat nelle previsioni è quelle delle migrazioni interregionali (trasferimenti di residenza tra regioni diverse), una fondamentale voce del bilancio demografico, per via della funzione di redistribuzione della popolazione tra le diverse aree del Paese.

In base allo scenario mediano si prevede che le migrazioni interregionali possano arrivare alla ragguardevole cifra di 14,7 milioni nel corso del periodo previsto. Muovendo da un livello iniziale simile a quello riscontrato negli ultimi anni, circa 330mila unità, si prevede tuttavia che le migrazioni interregionali possano orientarsi a una tendenza di lieve ma costante declino della loro consistenza, fino a un valore di 260mila trasferimenti annui entro il 2065.

La ragione di fondo, sottostante tale assunto declino, trova principale spiegazione nel progressivo invecchiamento della popolazione, nell’ipotesi in cui il profilo migratorio per età non si trasformi radicalmente e continui a interessare soprattutto individui in età giovanile-adulta (25-39 anni), la cui consistenza tende a diradarsi negli anni.

A beneficiare maggiormente dei flussi migratori interni risulterebbe soprattutto la ripartizione del Nord-Est, con un saldo di trasferimenti positivo per 485mila unità nel corso dell’intero orizzonte previsivo (scenario mediano). Peraltro il Nord-Est risulta anche la ripartizione che vanterebbe flussi netti positivi nei confronti di tutte le altre ripartizioni prese singolarmente, compresa quella del Nord-ovest (Prospetto 4).

Per quest’ultima ripartizione geografica il bilancio cumulato risulterebbe comunque positivo (484mila), potendo vantare saldi positivi nei confronti del Centro e del Sud. Il Centro registrerebbe a sua volta un saldo netto di +392mila unità, con flussi netti positivi nei confronti del Mezzogiorno. Negativo, infine, il saldo migratorio interregionale nelle Isole (211mila individui in meno) e, particolarmente, nel Sud (1,1 milioni in meno), unica ripartizione a registrare flussi netti singolarmente negativi nei confronti delle altre.

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