Quando la startup è un salto nel buio: il 55% chiude entro i primi 5 anni di vita


Indagine Cgia: in crisi soprattutto l’artigianato e nell’ultimo anno lo stock di imprese è diminuito di 18.400 unità

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Dal 2004 il tasso di mortalità delle imprese è aumentato di dieci punti percentuali

VENEZIA – Tasse, burocrazia, scarsa liquidtà e, a volte, idee che non si rivelano vincenti. Più della metà delle startup italiane non supera il quinto anno di attività secondo una elaborazione realizzata dall’Ufficio studi della CGIA di Mestre.

Il dato, pari al 55,2% delle neo imprese, è preoccupante ed evidenzia la grave difficoltà che stanno vivendo soprattutto le startup.

La situazione, inoltre, è peggiorata con il passare del tempo. Se nel 2004, infatti, il tasso generale di mortalità si attestava al 45,4% (ovvero la percentuale di imprese ancora in vita dopo 5 anni sul totale delle imprese nate nell’anno di riferimento, ossia il 1999), dieci anni dopo la soglia è salita al 55,2%, quasi 10 punti in più.

Per quanto riguarda i settori, invece, la quota più elevata si riscontra nelle costruzioni (62,7%), nel commercio (54,7%) e nei servizi (52,9%). Più contenuto degli altri, invece, è il dato dell’industria (48,3%).

Morìa di startup al Centro-Sud: Calabria maglia nera

A livello regionale la situazione più difficile si registra nelle regioni del Centro-Sud. La maglia nera spetta alla Calabria (58,5% di chiusure dopo 5 anni di vita), seguita dal Lazio (58,1%). La Liguria (57,7%) è l’unica regione del Nord nelle prime posizioni di questa graduatoria.

Al quarto posto, infatti, c’è la Sicilia (57,2%), poi la Sardegna (56,4%) e la Campania (56%). Le province autonome di Bolzano e di Trento (rispettivamente con il 45,8 e i 49,3%), la Basilicata (50,1%) e il Veneto (51,9%), invece, sono le realtà meno interessate da questo fenomeno.

Oltre al tasso di mortalità, a preoccupare gli artigiani di Mestre sono anche i dati Unioncamere riferiti al numero di imprese attive presenti in Italia.

Rispetto al 2015, le imprese artigiane presenti nel 2016 nel nostro Paese sono scese di 18.401 unità, attestandosi a quota 1.331.396.

Un crollo che ormai si verifica ininterrottamente dal 2009. In questi ultimi 7 anni, infatti, lo stock di imprese artigiane è diminuito di ben 134.553 unità. Per contro, le imprese non artigiane sono in aumento dal 2014 e l’anno scorso hanno raggiunto quota 3.814.599 (+ 20.013 rispetto al 2015), allineandosi, di fatto, con il dato che avevamo nel 2009 (3.817.582).

Il commento della CGIA

“Troppe tasse, una burocrazia che non allenta la morsa e la cronica mancanza di liquidità sono i principali ostacoli che hanno costretto molti neoimprenditori a gettare la spugna anzitempo” afferma Paolo Zabeo, coordinatore dell’Ufficio studi.

“È vero che molte persone, soprattutto giovani, tentano la via dell’autoimpresa senza avere alcuna esperienza e/o il know how necessario, tuttavia questa percentuale di chiusura così elevata è molto preoccupante, anche perché continua ad aumentare di anno in anno” aggiunge.

Secondo il Segretario della CGIA, Renato Mason, la chiusura anticipata di troppe startup è stata accelerata anche dalla “crisi economica abbattutasi nel nostro Paese”.

“Rispetto a qualche decennio fa, infatti, chi ha avviato un’attività economica in questi ultimi anni, spesso ha compiuto un salto nel buio. Con il passare del tempo, molti neoimprenditori hanno sperato di poter far breccia nel mercato e di superare lo scotto iniziale senza particolari problemi. Purtroppo, però, molti non hanno retto l’urto e sono stati costretti ad abbassare definitivamente la saracinesca” conclude Mason.