Viaggio in un secolo di abbinamenti per il piatto più amato dagli italiani e non solo
ROMA – In principio fu la pasta, ma subito dopo venne il condimento. Che rende questo piatto buono per tutte le stagioni e scandisce il ritmo dei mesi che passano, profumi che si trasformano in ricette. Uno dei pregi della pasta è infatti esaltare i profumi delicati delle salse più raffinate e stemperare quelli più invadenti dei condimenti più saporiti. Lasciando sempre la propria impronta indelebile. Permettendole di accompagnare, nei secoli, i pasti semplici e frugali dei poveri e dei contadini e di sottolineare l’opulenza delle mense nobiliari e borghesi.
Il matrimonio col formaggio (quando la pasta era rigorosamente in bianco)
Il condimento della pasta, che veniva stracotta per ore nel brodo di carni grasse o in latte di mandorle, ha una sua stagione in bianco o “fondente” che dura dalle origini fino agli anni venti e trenta dell’Ottocento.
Quando compare la pummarola che cambierà la storia e decreterà il successo internazionale di questo piatto. Ma per secoli il compagno della pasta è stato il formaggio. A Nord e a Sud.
Nei banchetti con decine di portate di nobili Estensi o prelati romani come nelle semplici cene contadine o nelle abbuffate dei mangiamaccheroni napoletani, che tra fine Settecento e primi Ottocento attingevano direttamente con le dita dal piatto fumante di spaghetti conditi con strutto, caciocavallo stagionato grattugiato e una bella spolverata di pepe.
Come condimento grasso veniva usato soprattutto il brodo arricchito con lo strutto, un po’ in tutta Italia, il burro (a Nord) e, più raramente, l’olio d’oliva (a Sud). Il tipo di formaggio era patrimonio degli usi e costumi locali, passando in rassegna ogni genere di formaggio a base di latte di pecora o di mucca.
Arriva la moda delle spezie e l’infatuazione per lo zucchero
Accanto al formaggio si affacciano, dal Trecento, anche le spezie (Cannella, zenzero, chiodi di garofano, zafferano) che cominciano ad arrivare dall’Oriente e fanno la differenza tra le tavole dei ricchi e quella dei poveri, che invece continua ad odorare di cipolla, aglio, cavoli e broccoli.
Nel Cinquecento un’altra moda: quella dello zucchero, con il quale doveva essere cosparsa ogni salsa da maritare con la pasta. Il suo dolce invadente – anche per bilanciare le spezie – entra anche nel ripieno di ravioli e tortelli. Del resto, in quest’epoca, la pasta è quasi sempre bollita in brodo e gregaria della pietanza principale: carni bianche, carni nobili, selvaggina.
Cominciano ad affermarsi i condimenti a base di ragù di carne o di verdura
Nei ricettari rinascimentali accanto al dolce troviamo ad esempio una delle prime ricette di pappardelle alla lepre (cotte nel brodo dell’animale e servite assieme alle sue carni), ma anche un’agliata (pesto di aglio, noci e pane ammollato raffermo) e una salsa verde a base di erbe aromatiche.
I condimenti a base di pesce – se si escludono pochissime città costiere dove il pesce è alla base dell’economia locale – stentano a spezzare questo binomio. Anche la simbologia quaresimale del pesce finisce per diventare un po’ punitiva per l’immagine di questo alimento che non riesce a spezzare il mix “ricco-povero” di carne e verdura.
Nei ricettari municipali si delineano le prime salse regionali
A partire dal XVII° secolo si delineano condimenti e specialità più tipiche di alcune aree geografiche, condizionati evidentemente dalla disponibilità di una determinata materia prima. Come nel caso dei taglierini o dei maccheroni alla salsa di noci di Suor Maria Vittoria della Verde, cuoca del Monastero di San Tommaseo di Perugia. Ricetta che nella zona dell’appennino parmense si arricchisce anche con la ricotta per accompagnare i maltagliati di farina di castagne del pranzo di Natale.
In provincia di Asti un ricettario cita un condimento a base di interiora e fricassea d’anatra ma anche un ragù di carne d’agnello, con soffritto di cipolle, sedano, porri e prezzemolo e bagnato da due dita di vino bianco.
E se nel 1863 dal primo pesto alla genovese documentato mancano i pinoli, già nel Medioevo i “Maccheroni alla genovese” di Maestro Martino sono con una salsa a base di “parmeggiano, rucola tritata e provatura non troppo secca”.
Arriva il pomodoro e le salse si colorano di rosso
Quando la pasta incontra il pomodoro è una rivoluzione. La cottura si abbrevia e diventa “al dente”, la pasta abbandona il suo ruolo di complemento per assumere a pieno titolo la qualifica di primo piatto del pasto all’italiana.
A lungo considerato pianta non commestibile e velenosa, bisognerà aspettare il Seicento per avere la prima ricetta di “salsa di pomodoro alla spagnola”, firmata da Antonio Latini e consigliata per accompagnare i bolliti e non per condire la pasta.
Nel 1773, nel “Cuoco Galante” di Vincenzo Corrado compaiono varie ricette che allargano gli orizzonti del condimento della pasta, come il celebre timballo di maccheroni.
Mentre nel 1839 Ippolito Cavalcanti per primo pubblica una ricetta di “vermicelle con le pommodore”. La ricetta è un trionfo di “pommodore fresche o secche”, ma viene anche citata la conserva o passata di questo vegetale, che in questo periodo comincia ad essere diffusa. Nel 1840 anche il celebre violinista Niccolò Paganini lascia una ricetta di “sugo a base di pomodoro”.
Finché a fine secolo Pellegrino Artusi registra questa ricetta nel patrimonio gastronomico moderno, borghese e nazionale, utilizzando una salsa di pomodoro per una ricetta di “maccheroni alla napoletana”.
Il Novecento: salse all’insegna dell’eclettismo e della contaminazione
Eclettismo, diversificazione locale che presto diventa tradizione: del bianco (olio, burro, formaggi), del rosso (pomodoro) e del verde (orto). Nel Novecento per la pasta si aprono infinite possibilità fino ad includere salse a base di carne, pesci e verdure, spesso sopravvissute grazie alla tradizione orale popolare o scritta dei vecchi ricettari di corte.
Il Nord si definisce meglio con il trionfo di pasta fresca e ripiena che un po’ ovunque finisce nel burro e formaggio. In Piemonte con il classico sugo di arrosto al brucio e tartufi di Alba, Mentre in Veneto al sugo di interiora alla sbirraglia si accompagna la classica ricetta dei bigoli al sugo d’anatra.
L’Emilia mette il Copyright regionale sulla salsa burro e salvia mentre il ragù alla bolognese con pochi pelati e un cucchiaino di concentrato di pomodoro diventa un mito culinario e condimento delle tagliatelle della domenica degli Anni Sessanta.
Nel Centro Italia il pomodoro si presenta più prepotente nelle pappardelle alla lepre toscane, mentre nelle Marche i sughi a base di triglie e calamari cominciano a segnare l’arrivo di salse più marinare. L’Umbria afferma il mito del tartufo nero di Norcia in abbinamento agli stringozzi, mentre il Lazio contribuisce a rendere celebri, anche all’estero, salse come l’Arrabbiata, l’Aglio, olio e peperoncino, il Cacio e pepe e l’Amatriciana.
Abruzzo e Molise canonizzano salse “povere” a base di ragù d’agnello o maiale, pomodori e ricotta o pecorino, mentre Campania e Puglia regalano al resto del Paese Spaghetti alle Vongole e orecchiette alle cime di rapa. Senza la Sicilia la storia della pasta avrebbe perso la pasta alla Norma, quella con le sarde e finocchietto selvatico e il pesto alla trapanese.
Mode da dimenticare o riproporre?
Accanto all’affermazione della cucina regionale e tradizionale, negli ultimi tre decenni del Novecento cresce la voglia di sperimentare strade nuove. Chi non ricorda la sbornia di pennette al salmone degli anni Ottanta, il successo del paglia e fieno, l’invadenza di panna, rucola e pomodorini pachino?
C’è poi un piatto di allora, le Penne alla vodka, che sta vivendo una seconda giovinezza globale: nella top 5 dei Google trends della pasta nel 2015, è stato eletto a piatto simbolo dell’ultimo World Pasta Day di Mosca, come esempio di ricetta “glocal” che unisce tutti i pasta lovers del mondo.
Il piatto unico si fa light: trionfano le cotture brevi
Un fenomeno più recente, che segna il successo della pasta come “piatto unico”, ricco e leggero al tempo stesso, è anche quello che ritocca le ricette tradizionali rendendole più leggere. Eliminando un certo tipo di grasso (tipico l’esempio del lardo o dello strutto) e lasciando maggior spazio all’olio d’oliva.
S’inventano le Carbonare vegetali, il ragù viene riveduto e corretto (con un maggior utilizzo di carni bianche), negli ingredienti e nei tempi di cottura. Si privilegiano le cotture brevi, con ricette a base di pomodori appena scottati, magari abbinati a sughi di pesce o crostacei. E si registra una vera e propria riscoperta di primi a base vegetale – pasta con i broccoli, con i broccoletti, con le verze – e dei condimenti o che recuperano ingredienti tipici, come il baccalà, di un passato contadino.
Un’altra tendenza di fine millennio: la fusion di stili e ingredienti diversi: mare e monti, alto (crostacei) e basso (verdure povere) e così le farfalle si servono con gamberi e zucchine, il tonno fresco compare accento a melanzane e pomodoro, il baccalà si sposa con le verze e i pinoli, l’agnello con i carciofi.
La pasta si farà ingrediente?
La pasta esalta, magnifica, sublima i condimenti. Ma a inizio millennio una nuova prospettiva si impone nell’alta cucina, e con essa un cambio di paradigma rivoluzionario: la pasta non è solo base del condimento, ma anche condimento essa stessa. Una materia prima che può essere “maltrattata”, ritornare ingrediente al pari degli altri, che come gli altri viene trasformato, lavorato, rivoluzionato.
Maccheroni che diventano l’impasto di un soufflè, spaghetti che diventano il ripieno per cipolle al forno, rigatoni ingredienti di un’insolita insalata di mare. Sono solo alcune delle proposte di chef che svelano un nuovo fronte di ricerca che cambia l’idea di pasta, raccontato da Eleonora Cozzella nel suo “Pasta Revolution”: non più, o non solo, “come condire la pasta” ma “come lavorare la pasta”.
I Millennials: spaghetto al pomodoro come piatto del futuro
Cosa ci riserva il futuro? Forse un ritorno al passato. Una ricerca AIDEPI-DOXA rivolta ai 15-35enni italiani sul loro rapporto con la pasta ci fa scoprire tanta voglia di semplicità e tradizione e una frequenza di consumo inaspettata (praticamente tutti i giorni, ma per un 25% addirittura due volte al giorno).
Tra le ricette preferite dai giovani trionfano quelle che molti ristoranti di tendenza, oggi, probabilmente si rifiuterebbero di mettere nel menù, considerandole banali: lasagne/pasta al forno (22%), Carbonara (18%), Spaghetti alle vongole (12%), pomodoro e basilico (12%) e Tagliatelle al ragù (11%). Cinque ricette che più tradizionali non si potrebbe, raccolgono il 75% dei consensi, lasciando al pesto, all’amatriciana al sugo di tonno e al mitico Aglio, olio e peperoncino le “briciole” del gradimento.
E se guardiamo al futuro, come sarà la pasta per i giovani? Qui la sorpresa cresce, visto che per il 42% sarà esattamente come oggi: il piatto simbolo rimarrà uno spaghetto pomodoro e basilico.