Lopinione degli specialisti italiani in vista del Congresso Nazionale sui Centri Diurni
ROMA – Nella continua ricerca di nuovi mezzi per rallentare il decorso dell’Alzheimer e migliorare le condizioni di vita dei pazienti, non poteva mancare l’impiego della Marijuana, farmaco che anche in Italia sta ritrovando il suo posto nella medicina ufficiale.
Uno studio recente, condotto al Salk Institute di San Diego, California, con il sostegno del National Institute of Health, l’agenzia del Ministero della Salute, e della Alzheimer Association, presenta un interessante meccanismo di azione del Tetraidrocannabinolo (THC), il principale principio attivo della Marijuana.
L’equipe del laboratorio di neurobiologia cellulare diretto dal professor David Schubert, uno dei centri più prestigiosi in campo biomedico a livello globale, sostiene di avere scoperto che in esperimenti in vitro su linee cellulari di neuroni umani, grazie al THC, è possibile rimuovere l’Amiloide Beta, la proteina tossica associata all’Alzheimer.
Questa importante novità è uno dei temi che saranno trattati a Pistoia il 16 e 17 Giugno al l8° Convegno nazionale dei Centri Diurni Alzheimer.
“Lo studio del Salk Institute – afferma uno dei relatori, il noto farmacologo Giancarlo Pepeu, professore emerito dellUniversità di Firenze -, offre una base razionale per proseguire le ricerche cliniche e spiega alcuni favorevoli risultati ottenuti trattando con THC modelli animali di Alzheimer e pazienti”.
Pubblicata da alcuni grandi giornali anglosassoni e, ovviamente, dal sito del Salk Institute (http://www.salk.edu/news-release/cannabinoids), in Italia la notizia di questa proprietà della Marijuana è stata fin qui accolta con cautela.
“Ne sappiamo ancora troppo poco” dice il professor Giulio Masotti, presidente onorario della Società italiana di Geriatria e Gerontologia, che del Convegno di Pistoia è uno dei co-organizzatori nonché la mente scientifica per conto dellUniversità di Firenze.
“Trattare l’Alzheimer con la Marijuana? Dobbiamo essere prudenti anche per non dare false speranze. Comunque stiamo pensando di invitare il professor Schubert l’anno prossimo a Pistoia per avere da lui i necessari chiarimenti” aggiunge.
Il quale Schubert si dimostra comunque assai sicuro della sua ricerca: “Benché anche altri studi abbiano provato gli effetti neuro-protettivi anti Alzheimer dei cannabinoidi, siamo convinti che il nostro sia il primo a dimostrare con chiarezza che la Marijuana interdice sia i processi infiammatori delle cellule nervose, sia l’accumulazione dell’Amiloide Beta” ha spiegato.
Come noto, l’Alzheimer consiste in un progressivo decadimento cerebrale con perdita della memoria fino all’impossibilità di condurre vita autonoma. E’ la più comune causa della demenza e una delle principali cause di morte. In Italia si contano già 1,3 milioni di malati destinati, secondo l’OMS, a triplicare nei prossimi 50 anni.
La novità di fondo, sostiene il professor Schubert, riguarda appunto il ruolo dell’Amiloide Beta nelle infiammazioni delle cellule nervose e negli alti tassi di morte neuronale. In sostanza, sarebbe stato dimostrato che, esponendole al THC, le cellule sopravvivono perché si riducono i livelli di Amiloide Beta e si elimina il processo infiammatorio causato dalla proteina.
“Le infiammazioni – spiega il neurologo Antonio Currais, co-autore dello studio – sono la componente principale dei danni cerebrali associati all’Alzheimer. Si è però sempre pensato che la reazione fosse causata da cellule di tipo immunitario e non dalle stesse cellule nervose. Quando invece abbiamo identificato la base molecolare della reazione infiammatoria all’Amiloide Beta, è diventato chiaro che a scongiurare la morte delle cellule aveva contribuito il trattamento con THC”.
Per accreditare la scoperta, il professor Schubert insiste sulla perfetta metodica scientifica con cui è stata condotta la ricerca. Il meccanismo con il quale il THC agisce in esperimenti su cellule isolate e su topolini è senza dubbio promettente e incoraggia la prosecuzione delle ricerche. Sono adesso necessari appropriati studi clinici per stabilire se i cannabinoidi possono essere impiegati con successo nell’uomo per la cura della malattia di Alzheimer.