Distanziometri e orari ridotti servono a poco: “Oggi la ludopatia si sviluppa con l’online”
PISA – Ludopatia? Molti ne parlano, pochi la studiano, alcuni ne soffrono. La crescita in anni recenti del comparto giochi ha moltiplicato l’attenzione per i casi di gioco problematico e per il loro impatto sociale. La politica, più che focalizzare il problema dal versante scientifico, ha cercato di limitare il gioco “a valle”, prendendo per buone e talvolta diffondendo cifre in libertà sul fenomeno.
Dal canto suo, la comunità scientifica chiede con sempre maggiore convinzione di investire tempo e risorse sulla cura e sulla prevenzione, più che sui divieti.
Serve quindi un approccio rigoroso, che consenta innanzitutto di definire la materia. Al riguardo, come riporta Agipronews, il documento cardine è il cosiddetto DSM-5, ovvero la quinta edizione del Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders, pubblicato nel 2013 a cura dell’American Psychiatric Association.
In esso, per la prima volta il gioco patologico viene assimilato alla dipendenza, cosiddetta “senza sostanza”. Il cambiamento è capitale: se il giocatore problematico è da considerare dipendente, i suoi eccessi dovranno essere trattati come una patologia e contestualizzati in una quadro clinico più ampio. In questa ottica, i limiti imposti a livello di distanze e orari ben difficilmente potranno essere risolutivi.
Prevenzione al primo posto, quindi, ma quand’è che un giocatore può essere considerato a rischio? Una risposta arriva dal PGSI (Problem Gambling Severity Index), un indice validato a livello internazionale. Il soggetto intervistato deve rispondere a nove domande che misurano il suo coinvolgimento nel gioco d’azzardo nel corso degli ultimi dodici mesi e le eventuali conseguenze negative. Ad ogni risposta viene assegnato un punteggio e a seconda dello score finale il soggetto viene identificato come “giocatore non a rischio”, “a basso rischio”, “a rischio moderato” oppure “giocatore problematico”.
Il PGSI è stato utilizzato per uno studio presentato dal CNR di Pisa, tra le massima autorità italiane in materia di ludopatia, nell’Ottobre del 2015. Sono stati esaminati 5292 questionari di persone tra i 15 e i 64 anni che avevano giocato almeno una volta in denaro nell’ultimo anno. L’83,2% dei partecipanti è stato classificato come giocatore non a rischio, l’11,2% a basso rischio, il 4,3% è risultato giocatore a rischio moderato, e l’1,3% giocatore problematico.
Il test per verificare se si è malati di gioco d’azzardo
Nove domande per misurare il proprio rapporto con il gioco: funziona così il Problem Gambling Severity Index, test di origine canadese, sottoposto a collaudo psicometrico e risultato di alta affidabilità. Queste le nove domande:
- Hai scommesso più di quanto potresti davvero permetterti di perdere?
- Pensando agli ultimi dodici mesi, hai avuto bisogno di scommettere con quantità di denaro maggiori per ottenere la stessa sensazione di eccitazione?
- Quando hai giocato, sei tornato a giocare un giorno successivo per provare a riconquistare i soldi persi?
- Hai preso in prestito soldi o venduto qualcosa per avere denaro da giocare?
- Hai avvertito di poter avere un problema con il gioco?
- Il gioco ti ha causato qualche problema di salute, inclusi stress or ansia?
- La gente ha criticato il fatto che tu giochi, oppure ha detto che hai avuto problemi con il gioco, indipendentemente dal fatto che tu lo ritenessi vero?
- La tua attività di gioco ha causato problemi finanziari a te o alla tua famiglia?
- Ti sei sentito colpevole per il modo in cui giochi o per ciò che accade quando giochi?
Ad ogni domanda si può rispondere in quattro modi: “mai” (zero punti), “qualche volta” (1), “la maggior parte delle volte” (2), “quasi sempre” (3). Chi totalizza 0 punti viene considerato giocatore non a rischio; fino a 2 punti, giocatore a basso rischio; da 3 a 7 punti, giocatore a rischio moderato; da 8 a 27 punti, giocatore problematico.
Gli studi del CNR di Pisa
Gli studi sul gioco patologico trovano nel Cnr di Pisa un crocevia obbligato. Un gruppo di ricercatori studia da anni il problema, producendo materiale che oggi, nelle more di un dibattito politico e sociale piuttosto serrato, può rappresentare un fondamentale punto di riferimento. Agipronews ne ha parlato con Luca Bastiani, membro del reparto di epidemiologia e ricerca sui servizi sanitari dell’Istituto di Fisiologia Clinica del Cnr di Pisa, coordinato da Sabrina Molinaro. Un’equipe che da anni si occupa diffusamente di ludopatia.
Comuni e Regioni hanno affrontato finora il gioco problematico ponendo limitazioni all’orario di apertura delle sale e stabilendo distanze di sicurezza tra i punti di gioco e alcuni luoghi sensibili. “Ritengo la loro efficacia limitata. Per i giocatori di una certa età possono funzionare, ma risultano inutili per i giovani digitalizzati, in grado di giocare in rete attraverso lo smartphone. Ecco perché il gioco online è potenzialmente più insidioso di quello offerto sul territorio. Quindi, più che di parlare di limitazioni sull’orario e sulle distanze, si dovrebbe puntare sulla prevenzione e sulla cura” spiega.
Alcuni regolamenti, come nei i casi di Firenze e Grosseto, sono stati bocciati dal Tar proprio per difetto di presupposti scientifici. Come si può rimediare a questa situazione? “Nell’ambito scientifico italiano le ricerche validate in Italia sono quelle del Cnr e dell’Università di Firenze, Roma e Padova: per il resto, non c’è molto. Le amministrazioni comunali dovrebbero appoggiarsi a questi referenti, sennò si rischia di parlare di nulla” afferma Bastiani.
Per il ricercatore la ludopatia “fino a qualche anno fa era stata considerato una variante del disturbo ossessivo-compulsivo. Una classificazione basata sulla natura compulsiva dell’azione, associata all’incapacità di smettere. Oggi invece il gioco d’azzardo patologico è stato spostato nel capitolo delle dipendenze. Per questo i Sert accolgono anche i giocatori problematici”.
Si è sempre detto come la parte più povera e meno istruita della popolazione sia maggiormente esposta agli eccessi nel gioco, nel quale si intravede una speranza di riscatto economico e sociale. È così? “In realtà – sottolinea Bastiani – le cose sono cambiate. Fino a una decina di anni fa il giocatore problematico era una persona che aveva un profilo culturale basso, ora gli eccessi si spalmano su uno spettro sociale più ampio. In molti casi incidono maggiormente altri fattori, per esempio la solitudine. Chi resta da solo, senza famiglia, magari dopo aver divorziato, è più soggetto”.
Focus anche sui rapporti numerici tra giocatori “sani” e giocatori problematici. “I dati del nostro studio del 2015, basato sulle nove domande previste dal Problem Gambling Severity Index mostrano che l’ 83,2 % dei 5292 rispondenti è stato classificato come giocatore senza rischi. Per il resto, l’11,2% è risultato a basso rischio, il 4,3% a rischio moderato e l’1,3% rappresenta la percentuale dei giocatori problematici” risponde.
“Le cifre dicono che c’è una larghissima fascia di gioco “buono”, il cosiddetto gioco sociale. Quello che praticano tutte le persone che per il gioco non trascurano il lavoro, non complicano le relazioni familiari e non hanno problemi con la giustizia” aggiunge Bastiani.
Sulla ludopatia girano numeri diverse e incontrollate. Ma quali sono le cifre reali? “In Italia, parliamo di circa 300 mila persone. Si tratta di un’indagine campionaria e sicuramente il fenomeno è sottostimato. Dobbiamo comunque considerare che il giocatore problematico impatta anche sulla vita dei familiari: moglie, marito, figli, parenti stretti. In media, per ogni caso vengono coinvolte altre sei persone”.