Catanzaro: 8 arresti per omicidi di mafia del 2002 e del 2006


Operazione “Outset”: presi mandanti ed esecutori degli omicidi di Mario Franzoni e Giuseppe Salvatore Pugliese

omicidi di mafia arresti polizia catanzaro oggi
Oltre ai due omicidi di mafia gli arrestati sarebbero responsabili anche dell’agguato a Francesco Macrì

CATANZARO – Si chiude il cerchio, dopo anni, su due omicidi di mafia avvenuti in Calabria nel 2002 e nel 2006. Oggi gli uomini delle Squadre mobili di Catanzaro e Vibo Valentia hanno arrestato otto persone, considerate mandanti ed esecutori materiali dell’omicidio di Mario Franzoni, avvenuto nel 2002 a Porto Salvo e di Giuseppe Salvatore Pugliese, ucciso nel 2006. Gli otto arrestati sarebbero anche responsabili dell’agguato mafioso a Francesco Macrì, avvenuti nell’anno 2006 sulla SS 522 tra Vibo Marina e Pizzo Calabro.

A conclusione di una complessa un’indagine. Supportati anche dalle dichiarazioni di alcuni collaboratori di giustizia, gli investigatori hanno ricostruito la dinamica degli omicidi e i moventi.

Le attività d’indagine, supportate anche dalle dichiarazioni rese dai collaboratori di giustizia, Giuseppe Giampà, Raffaele Moscato, Pasquale Giampà, Andrea Mantella, hanno permesso di fare luce, oltre che sui moventi degli omicidi di mafia, anche sui mandanti e sugli esecutori materiali dei gravi fatti di sangue.

In particolare, è stato accertato che l’omicidio di Franzoni era stato commissionato da un costruttore edile di Vibo Valentia ad esponenti della cosca Lo Bianco, dopo le violente minacce che i figli di quest’ultimo avevano ricevuto proprio da Franzoni. Come corrispettivo, l’imprenditore si era impegnato a costruire due villette che poi aveva consegnato agli esecutori materiali dell’omicidio.

Il movente dell’omicidio di Giuseppe Salvatore Pugliese, invece, è stato individuato in una relazione clandestina che avrebbe avuto con la figlia minorenne di un esponente di spicco dei Piscopisani. Relazione sentimentale che non aveva troncato nonostante i vari avvertimenti.

Tuttavia, al di là dell’apparente movente riconducibile al “delitto d’onore”, la reale motivazione stava nel fatto che si erano inaspriti i rapporti in seno alla criminalità organizzata vibonese ed in particolare al fatto che la vittima non riconoscesse l’autorità criminale delle cosche e facesse affari per conto suo.