Secondo il diritto UE non poteva vietare semina e coltivazione senza prima aver accertato la pericolosità per la salute
LUSSEMBURGO – Fa discutere la sentenza di oggi della Corte di giustizia europea relativa al divieto introdotto dall’Italia nel 2013 di coltivazioni OGM. Secondo i giudici europei, infatti, le coltivazioni geneticamente modificate possono essere vietate sul suolo di uno Stato membro UE solo se è accertato il rischio per la salute umana, per gli animali o per l’ambiente. Altrimenti gli Stati, come in questo caso l’Italia, non possono intervenire autonomamente vietando la coltivazione OGM.
La sentenza fa riferimento al caso di un agricoltore friulano che nel 2014 aveva provocatoriamente seminato i suoi campi con prodotti geneticamente modificati prima di rivolgersi alla Corte di giustizia europea.
Sulla sentenza è intervenuta la Coldiretti, che ricorda come quasi 8 cittadini su 10 (76 per cento) si oppongono oggi al biotech nei campi che in Italia sono giustamente vietati in forma strutturale dalla nuova normativa.
“L’Italia – sottolinea la Confederazione – è infatti tra la maggioranza dei Paesi membri dell’Unione che ha scelto di vietare la semina di OGM sulla base della direttiva Ue approvata nel 2015”.
“Per l’Italia gli organismi geneticamente modificati in agricoltura non pongono solo seri problemi di sicurezza ambientale, ma soprattutto perseguono un modello di sviluppo che è il grande alleato dell’omologazione e il grande nemico del Made in Italy” afferma il presidente della Coldiretti Roberto Moncalvo.
“L’agricoltura italiana – conclude la Coldiretti – è diventata la più green d’Europa con il maggior numero di certificazioni alimentari a livello comunitario per prodotti a denominazione di origine Dop/Igp che salvaguardano tradizione e biodiversità, la leadership nel numero di imprese che coltivano biologico, la più vasta rete di aziende agricole e mercati di vendita a chilometri zero che non devono percorrere lunghe distanza con mezzi di trasporto inquinanti, ma anche con la minor incidenza di prodotti agroalimentari con residui chimici fuori norma e con la decisione di non coltivare organismi geneticamente modificati, come avviene peraltro in 23 Paesi sui 28 dell’Unione Europea”.