Al centro ENEA di Frascati un laboratorio che produce a ritmo industriale i “gioielli” in grado di rilevare ciò che accade all’interno di un reattore
ROMA – Un laboratorio all’avanguardia in grado di produrre con grande velocità diamanti sintetici necessari per monitorare le reazioni di fusione nucleare, ma anche per applicazioni in elettronica, industria estrattiva e radioterapia.
È il nuovo laboratorio diamanti, una ‘gioielleria’ del tutto particolare appena inaugurata nel Centro di Ricerche ENEA di Frascati, leader in progetti internazionali come ITER per dimostrare la possibilità di riprodurre la reazione che avviene nel Sole e nelle stelle, per ottenere energia pulita, quasi inesauribile e a costi competitivi.
“Questo è un laboratorio tecnologicamente molto avanzato – spiega il ricercatore ENEA Ugo Besi Vetrella del dipartimento Fusione e Tecnologie per la Sicurezza Nucleare – dove creiamo condizioni estreme con intensi campi elettromagnetici e un’atmosfera rarefatta di idrogeno e metano in un volume confinato di pochi centimetri cubi. E proprio questa atmosfera, se correttamente controllata, è in grado di far crescere i preziosi cristalli”.
“Ora il nostro obiettivo – conclude il ricercatore – è di arrivare e superare la velocità di crescita dei diamanti realizzati nei laboratori internazionali, circa 0,01 millimetri all’ora, per poter produrre i cristalli in poche ore e ridurne significativamente i costi di produzione, che attualmente si aggirano intorno ai 1.000 euro per un diamante sintetico di grandezza 5 per 5 millimetri”.
Il diamante è una struttura cristallina di atomi di carbonio disposti in uno schema geometrico ben preciso, che gli conferisce caratteristiche molto particolari come durezza, trasparenza, conducibilità termica e resistenza.
Oltre a queste caratteristiche, i diamanti sono in grado di rilevare il passaggio di radiazioni senza esserne danneggiati. “I diamanti – sottolinea il ricercatore ENEA Fulvio Pompili dello stesso dipartimento – quando vengono attraversati da raggi X, fotoni, neutroni e particelle cariche come quelle alfa e i protoni, ne rilevano il passaggio producendo un debole segnale elettrico”.
“Questo piccolissimo segnale, una volta raccolto e amplificato, fornisce informazioni utili sul tipo di radiazione, l’energia della particella e l’istante esatto in cui è avvenuto il contatto. Uno dei suoi primi impieghi sarà proprio in ITER, per garantire la sicurezza all’interno del reattore a fusione” aggiunge.
Questi piccoli “gioielli” di resistenza e sensibilità, infatti, possono fornire ai ricercatori uno strumento unico in grado di rilevare ciò che accade all’interno di un reattore a fusione, dove bisogna confinare il plasma a temperature di circa cento milioni di gradi centigradi. Non solo. Per i ricercatori che studiano l’energia delle stelle, avere a disposizione uno strumento come questo dà la possibilità di continuare a sperimentare rivelatori sempre più efficienti che sarebbe impossibile ottenere con altri materiali meno resistenti alle radiazioni e alle alte temperature, come ad esempio il silicio.
A livello mondiale, oltre alla fusione nucleare, per i diamanti sintetici si aprono nuovi settori di applicazione, alcuni dei quali sono già realtà come l’estrazione di petrolio, gas e minerali e i rivelatori di radiazioni per pazienti e medici nei centri di radioterapia per la cura di tumori. I diamanti vengono usati anche in prodotti abrasivi, strumenti di taglio e lucidatura e nei dissipatori di calore.
E nell’elettronica la resistenza a temperature elevate rende il cristallo sintetico un sostituto ideale del silicio. Insomma, un futuro promettente come dimostrano questi dati: se nel 2014 la produzione di diamanti sintetici si attestava a intorno ai 360 mila carati, nel 2018 si arriverà a 2 milioni fino ai 20 milioni entro il 2026.