Coldiretti chiede di esportare la legge italiana all’estero
ROMA – Dal riso asiatico alle conserve di pomodoro cinesi, dall’ortofrutta sudamericana a quella africana in vendita nei supermercati italiani fino ai fiori del Kenya, quasi un prodotto agroalimentare su cinque che arriva in Italia dall’estero non rispetta le normative in materia di tutela dei lavoratori, a partire da quella sul caporalato, vigenti nel nostro Paese.
È quanto emerge da una analisi della Coldiretti presentata in occasione dell’anniversario della legge nazionale per il contrasto al caporalato.
Si stima che siano coltivati o allevati all’estero oltre il 30% dei prodotti agroalimentari consumati in Italia anche da Paesi extracomunitari dove non valgono gli stessi diritti sociali dell’Unione Europea e dell’Italia.
Riso, conserve di pomodoro, olio d’oliva, ortofrutta fresca e trasformata, zucchero di canna, rose, sono solo alcuni dei prodotti stranieri che arrivano in Italia e sono spesso il frutto di un caporalato invisibile che passa inosservato solo perché avviene in Paesi lontani.
“E tutto questo accade nell’indifferenza delle Istituzioni nazionali ed europee che anzi spesso – denuncia la Coldiretti – alimentano di fatto il commercio dei frutti dello sfruttamento con agevolazioni o accordi privilegiati per gli scambi che avvantaggiano solo le multinazionali”.
“Non è accettabile che alle importazioni sia consentito di aggirare le norme previste in Italia dalla legge nazionale sul caporalato ed è necessario, invece, che tutti i prodotti che entrano nei confini nazionali ed europei rispettino gli stessi criteri a tutela della dignità dei lavoratori, garantendo che dietro tutti gli alimenti, italiani e stranieri, in vendita sugli scaffali ci sia un percorso di qualità che riguarda l’ambiente, la salute e il lavoro, con una giusta distribuzione del valore a sostegno di un vero commercio equo e solidale”, ha affermato il presidente della Coldiretti, Roberto Moncalvo.
L’ultimo drammatico caso è quello delle agevolazioni concesse alla Birmania sulle esportazioni in Europa di riso dopo la campagna brutale di pulizia etnica contro la minoranza dei Rohingya denunciata dalle Nazioni Unite che parla di oltre 700mila rifugiati.
“Nonostante questo – denuncia la Coldiretti – la Birmania gode dal giugno 2013 dell’introduzione da parte dell’Ue del sistema tariffario agevolato a dazio zero che ha fatto aumentare dell’800% nel 2017 rispetto allo scorso anno le importazioni di riso in Italia, che hanno raggiunto il valore record di 7 milioni di chili nel solo primo semestre, sulla base dei dati Istat”.
Un altro esempio è rappresentato dalle importazioni di conserve di pomodoro dalla Cina al centro delle critiche internazionali per il fenomeno dei laogai, i campi agricoli lager che secondo alcuni sarebbero ancora attivi, nonostante l’annuncio della loro chiusura.
Nel 2016 sono aumentate del 36% le importazioni in Italia di concentrato di pomodoro dal Paese asiatico che hanno raggiunto 92 milioni di chili, pari a quasi il 10% della produzione nazionale in pomodoro fresco equivalente.
Rilevanti sono anche le importazioni di nocciole dalla Turchia sulla quale pende l’accusa per lo sfruttamento del lavoro delle minoranze curde, ma il problema dello sfruttamento riguarda anche le rose dal Kenya per il lavoro sottopagato e senza diritti, i fiori dalla Colombia dove è stato denunciato lo sfruttamento del lavoro femminile o la carne dal Brasile dove è stato denunciato il lavoro minorile.
Le banane sono il terzo frutto più consumato in Italia, ma su quelle che vengono dall’Ecuador sono stati segnalati trattamenti chimici fuorilegge in Europa, mentre lo zucchero di canna, divenuto di gran moda, viene ottenuto in Bolivia in piantagioni dove si segnala l’abuso di stimolanti per aumentare la resistenza al lavoro.
Ma ci sono trattative in corso anche per i prodotti frutticoli con i Paesi del Mercosur (Argentina, Brasile, Paraguay, Uruguay) dove non ci sono le stesse norme di tutela di lavoro vigenti in Italia. L’Argentina, che è nella lista nera del dipartimento di Stato americano per lo sfruttamento del lavoro minorile nelle coltivazioni di aglio, uva, olive, fragole e pomodori, ha aumentato le esportazioni di prodotti ortofrutticoli in Italia del 15% nel corso del 2016.