In Myanmar la strage dei Rohingya: 6700 morti in un mese


La denuncia di Medici Senza Frontiere che ha raccolto testimonianze nei campi profughi del Bangladesh

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Da inizio 2017 almeno 500mila Rohingya sono stati costretti a scappare dai propri villaggi

DACCA – Emergono dati choc da un’indagine di Medici senza Frontiere condotta tra i rifugiati Rohingya in Bangladesh. In un mese, dal 25 agosto al 24 settembre 2017, sarebbero morti a causa della violenza in Myanmar, nello Stato di Rakhine, almeno 6.700 Rohingya, tra cui 730 bambini al di sotto dei 5 anni.

Secondo le stime più prudenti di Medici senza Frontiere, sui 9 mila morti accertati, nel 71.7% dei casi la causa del decesso è legata direttamente alla violenza. In un solo mese 6.700 membri della minoranza islamica hanno perso la vita colpiti da armi da fuoco (69% dei casi negli adulti; 59% nei bambini), bruciati vivi nelle loro case (9% negli adulti; 15% nei bambini), per violenti percosse (5% negli adulti; 7% nei bambini) e a causa dell’esplosione di mine (2% nei bambini).

I numeri dimostrano come i Rohingya siano stati il bersaglio della spirale di violenza iniziata il 25 agosto scorso quando l’esercito e la polizia del Myammar, oltre ad alcune milizie locali, hanno lanciato l’operazione di sgombero nello Stato di Rakhine in risposta agli attacchi dell’Esercito per la salvezza dei Rohingya dell’Arakan. Da allora, più di 647.000 Rohingya sono fuggiti dal Myammar per trovare rifugio in Bangladesh, dove oggi vivono in campi sovraffollati e in scarse condizioni igieniche.

“Abbiamo incontrato e parlato con i sopravvissuti delle violenze in Myammar e ciò che abbiamo scoperto è sconcertante. È davvero alto il numero di persone che ha riferito di aver perso un componente della famiglia a causa della violenza, a volte nei modi più atroci. Il picco di morti coincide con il lancio delle operazioni da parte delle forze di sicurezza del Myanmar nell’ultima settimana di agosto”, afferma il Dr. Sidney Wong, direttore medico di MSF.

I dati raccolti da Medici senza Frontiere sono il risultato di sei analisi retrospettive sulla mortalità condotte nei primi giorni di novembre in diverse aree dei campi profughi Rohingya a Cox’s Bazar in Bangladesh, poco oltre il confine con il Myanmar. La popolazione totale coperta dall’analisi è di 608.108 persone; tra loro 503.698 sono fuggite dal Myanmar dopo il 25 agosto.

“Il numero totale dei decessi è probabilmente sottostimato perché MSF non ha condotto indagini in tutti i campi profughi in Bangladesh, oltre a non essere riuscita a intervistare i Rohingya ancora in Myanmar”, spiega il Dr. Sidney Wong. “Abbiamo sentito parlare di intere famiglie morte nelle loro case a cui era stato dato fuoco” aggiunge.

“Ancora oggi molte persone stanno fuggendo dal Myanmar verso il Bangladesh. Chi riesce ad attraversare il confine racconta di essere stato vittima di violenza nelle ultime settimane”, prosegue il Dr. Wong. “Sono inoltre davvero pochi gli organismi di aiuto indipendenti in grado di accedere nel distretto di Maungdaw, nello Stato di Rakhine, e per questo temiamo per il destino dei Rohingya che sono ancora lì. La firma di un accordo per il ritorno dei Rohingya tra i governi di Myanmar e Bangladesh è prematura. I Rohingya non possono essere costretti a ritornare in Myanmar e la loro sicurezza e i loro diritti devono essere garantiti prima che qualsiasi piano di rientro venga preso seriamente in considerazione”, conclude.

In Italia il riso insanguinato dei Rohingya

Nel 2017 in Italia sono aumentati del 736% rispetto all’anno precedente gli arrivi di riso dalla Birmania dove le autorità locali hanno avviato a fine ottobre la raccolta nei campi abbandonati dai musulmani Rohingya in fuga dalla repressione. È quanto emerge da una analisi della Coldiretti che spiega come le importazioni di riso in Italia hanno raggiunto addirittura il valore record di 7,3 milioni di chili in soli nove mesi sulla base dei dati Istat.

“Ciò perché, nonostante l’accusa di pulizia etnica, la Birmania gode da parte dell’Unione Europea del sistema tariffario agevolato a dazio zero per i Paesi che operano in regime EBA (tutto tranne le armi). I Rohingya sono considerati in Birmania immigrati clandestini con la limitazione della libertà di movimento è la confisca dei terreni. Molti di loro, inoltre, sono da sempre sottoposti al lavoro forzato, anche nei campi di riso e, dall’inizio della repressione, sono numerose le testimonianze di violenze, addirittura decapitazioni avvenute nei campi di riso secondo fonti giornalistiche internazionali” denuncia la Confederazione.

“Non è accettabile che l’Unione Europea continui a favorire con le importazioni lo sfruttamento e la violazione dei diritti umani nell’indifferenza generale”, ha affermato il presidente della Coldiretti Roberto Moncalvo.

“È invece necessario che tutti i prodotti che entrano nei confini nazionali ed europei rispettino gli stessi criteri a tutela della dignità dei lavoratori, garantendo che dietro gli alimenti, italiani e stranieri in vendita sugli scaffali ci sia un percorso di qualità che riguarda l’ambiente, la salute e il lavoro, con una giusta distribuzione del valore a sostegno di un vero commercio equo e solidale” ha concluso.