Oltre 60.000 bambini Rohingya dimenticati e intrappolati in 23 campi profughi
Dall’inizio delle violenze nello stato di Rakhine (Myanmar), ad agosto, 655.000 persone, la maggior parte delle quali Rohingya, hanno attraversato il confine settentrionale verso il Bangladesh.
Nella zona centrale dello stato di Rakhine invece oltre 120.000 Rohingya sono rimasti bloccati dal 2012 in squallidi campi profughi, e altri 200.000 vivono in villaggi in cui la libertà di movimento e l’accesso ai servizi di base sono sempre più limitati.
L’UNICEF e i suoi partner non possiedono ancora un quadro generale sulla situazione dei bambini che rimangono nella parte settentrionale dello stato di Rakhine, in quanto l’accesso è limitato, “ma ciò che sappiamo è fortemente preoccupante” spiega l’organizzazione. Prima del 25 agosto, l’UNICEF stava curando 4.800 bambini che soffrivano di malnutrizione acuta grave: questi bambini non stanno più ricevendo questi trattamenti salvavita. Tutti e 12 i centri per il trattamento terapeutico ambulatoriale gestiti dai partner sono stati chiusi in quanto depredati, distrutti o perché lo staff non può accedervi.
Nessuno dei 5 centri di assistenza sanitaria di base che l’UNICEF stava supportando è operativo e in nessun posto viene distribuita sufficiente acqua pulita o cibo. I partner dell’UNICEF hanno identificato circa 20 bambini separati dalle loro famiglie nel corso delle violenze, ma si stima che il numero totale sia almeno di 100, molti dei quali in parti settentrionali dello Stato di Rakhine in cui non è ancora possibile accedere.
La città di Maungdaw, nel Rakhine settentrionale, conserva ancora le cicatrici delle recenti violenze: vaste aree sono state rase al suolo da bulldozer, gran parte dei negozi sono chiusi, poche persone sono in giro per strada, pochissime donne e ancor meno bambini.
“Le nostre stime più ottimiste indicano che sono circa 60.000 i Rohingya ancora a Maungdaw, rispetto a una popolazione che, prima del 25 agosto, era di circa 440.000 persone. I bambini Rohingya che rimangono in aree rurali sono quasi completamente isolati” afferma l’UNICEF.
Mentre gli occhi di tutto il mondo si concentrano sulla situazione nel Rakhine settentrionale e a Cox’s Bazar, oltre 60.000 bambini Rohingya rimangono quasi dimenticati, intrappolati in 23 campi nella parte centrale del Rakhine, in cui sono arrivati a causa delle violenze nel 2012. Le restrizioni preesistenti al movimento delle persone dentro e fuori dai campi sono state rafforzate per la prima volta dopo lo scoppio delle violenze a ottobre 2016 e di nuovo in seguito a quelle di agosto 2017, rendendo ancora più difficile per gli operatori umanitari portare aiuti ai bambini e rendendo le già difficili condizioni di vita nei campi persino peggiori.
“I campi peggiori sono in condizioni disastrose: i campi Nget Chanug 1 e 2 nella città di Pauktaw sono raggiungibili soltanto in barca, con le barche locali utilizzate per fornire aiuti, ci vogliono dalle quattro alle cinque ore. I campi si trovano sotto il livello del mare, senza quasi nessuna copertura boschiva. Alcune parti sono letteralmente delle fogne. I rifugi traballano su palafitte sopra la spazzatura e gli escrementi. I bambini camminano scalzi in mezzo al letame. Un responsabile di un campo, nei primi 18 giorni di dicembre, ha registrato quattro morti di bambini fra 3 e 10 anni. La sua unica richiesta è di avere dei sentieri adeguati, in modo da non dover camminare in mezzo ai loro stessi rifiuti”, ha dichiarato Marixie Mercado, Portavoce UNICEF a Ginevra.
L’UNICEF si dice pronto a lavorare con il Governo del Myanmar e con quello dello stato di Rakhine per raggiungere tutti i bambini, a prescindere dalla loro etnia, religione, status legale o situazione, per portare loro l’assistenza e la protezione di cui hanno bisogno. “Per questo motivo, abbiamo urgentemente bisogno di accesso illimitato nello stato di Rakhine” conclude l’organizzazione.