Il lavoro è un miraggio per i giovani italiani: uno su due sogna di fare lo spazzino


I giovani italiani arrivano ai trent’anni dopo aver cambiato in media cinque lavori: il 33% vive ancora con la “paghetta” dei genitori o grazie all’aiuto dei nonni

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Nel 2018 più di un giovane senza lavoro su due (56 per cento) accetterebbe un posto da spazzino. Una figura professionale che, da emblema dei lavori meno ambiti, è diventato nel tempo della disoccupazione record un “lusso” per gli italiani under 35, tanto da essere preferito ad un posto nei call center, da badante o da dog sitter. È quanto emerge dalla prima analisi Coldiretti/Ixè su “I giovani italiani, la vita e il lavoro”, presentata al “Salone della creatività Made in Italy” in occasione della consegna a Roma dei premi per l’innovazione Oscar Green.

I giovani italiani sono diventati sempre più flessibili e disposti a fare lavori meno gratificanti pur di riuscire a mantenersi in un contesto in cui il tasso disoccupazione giovanile è del 32,7%, in calo anche se resta il terzo dato più alto d’Europa dopo Grecia e Spagna secondo gli ultimi dati Istat. Se un posto da operatore ecologico sarebbe accettato dal 56 per cento degli under 35 disoccupati, poco più della metà (51 per cento) punterebbe a un lavoro nella food delivery (consegna di cibo a domicilio) e un 50 per cento farebbe il dog sitter, che si piazza ben davanti a pony express (39 per cento) e operatore di call center (37 per cento) mentre solo uno su quattro (24 per cento) vorrebbe fare il badante.

Non sorprende dunque che resti solido l’obiettivo italico del posto fisso che rimane il “sogno proibito” dal 62 per cento dei giovani.

“In questo ambito – precisa la Coldiretti – tiene il mito del dipendente pubblico al quale ambisce il 34 per cento dei giovani italiani, tallonato da vicino da una poltrona sicura nel settore privato, mentre un 26 per cento vorrebbe fare il libero professionista”.

“Nell’attesa si arrangiano come possono – prosegue Coldiretti – tanto che 3 giovani su 4 hanno già avuto esperienze lavorative multiple per una media di quasi 4 lavori già cambiati, che salgono a 5 se si considera la fascia tra i 30 e i 34 anni”.

Non mancano comunque tra gli occupati ragazzi che sono molto o abbastanza soddisfatti del lavoro che hanno (71 per cento) mentre tra quelli che non lo sono il motivo principale resta la scarsa remunerazione economica (62 per cento).

“C’è un forte spirito di sacrificio nelle nuove generazioni, ma anche la consapevolezza di grandi difficoltà da superare che non devono trasformarsi in rassegnazione”, ha affermato il presidente della Coldiretti Roberto Moncalvo. “Una spinta decisiva deve partire dalla scuola che deve saper alimentare una nuova cultura imprenditoriale e del lavoro fondata su bisogni veri e sugli asset vincenti su cui può contare il Paese come turismo e alimentazione”.

Sette giovani italiani su 10 abitano ancora con genitori e nonni

Più di un trentenne italiano su tre (35 per cento) nel 2018 vive con la paghetta dei genitori o dei nonni e altri parenti che sono costretti ad aiutare i giovani fino ad età avanzata. Ma se si considerano tutti i giovani italiani tra i 18 e i 34 anni, la percentuale di chi è costretto a farsi mantenere da mamma e papà sale al 55 per cento, più un altro 6 per cento che si “affida” alla pensione dei nonni. Secondo l’indagine ben il 68 per cento dei giovani italiani vive in famiglia dove cerca però di rendersi utile.

Tra quanto abitano con i genitori ben il 77 per cento concorre ai lavori domestici e il 63 per cento fa la spesa. Non è un caso se alla domanda su quale aspetto della vita incida maggiormente sul proprio futuro da 1 a 10 è proprio la famiglia ad ottenere il punteggio maggiore (7,9) davanti a relazioni in generale e cultura (entrambe con 7,5).

E questo nonostante il fatto che solo meno della metà dei giovani dichiara di stare in una famiglia dove le condizioni economiche consentono di vivere agiatamente o serenamente, mentre nelle case di un restante 47 per cento si riescono a pagare appena le spese e in un 5 per cento non bastano nemmeno per l’indispensabile. Un giovane su quattro è a rischio povertà nell’ Europa mediterranea secondo lo studio presentato dal Fondo Monetario Internazionale (Fmi) a Davos dal quale emerge che ai giovani tra i 16 e i 34 anni fa capo appena il 5% della ricchezza netta dell’Unione.

Lavoro: 14 porte chiuse all’anno per i giovani italiani

I giovani italiani che si sono dati alla ricerca attiva del lavoro nell’ultimo anno hanno presentato in media 14 “curriculum”, ma una percentuale del 34 per cento per rassegnazione e sfiducia non ha inviato alcuna domanda di assunzione o lavoro. Se il valore medio è elevato, non va però sottovalutata la presenza di una minoranza del 5 per cento di giovani che durante l’anno ha ricevuto oltre 50 porte sbattute in faccia, risposte mancanti o negative, di fronte alla richiesta di lavoro.

L’invio dei curriculum resta il canale principale usato dai ragazzi per cercare lavoro, davanti al passaparola e agli annunci sui social, mentre le agenzie di lavoro interinale si trovano solo al quarto posto e nessuno indica ormai i concorsi, sempre più sovraffollati, come possibilità per trovare impiego. Preoccupa però il fatto che il 72 per cento dei giovani italiani under 35 dichiari di conoscere qualcuno che ha trovato lavoro grazie alle raccomandazioni, che gli scandali e le difficoltà economiche non hanno fatto venir meno.

Dinanzi a questa situazione non deve sorprendere che il 34 per cento si dica disposto a cambiare nazione per trovare un impiego e un 22 per cento sia convinto che il suo futuro sarà all’estero, anche se una ridotta minoranza (14 per cento) ha già avuto esperienze lavorative in un’altra nazione. Ma per inseguire il miraggio di un lavoro c’è anche chi è disposto a rinunciare ad affetti, ambizioni o tutele, magari cambiando città (46 per cento), accettando uno stipendio di 500 euro al mese (lo farebbe il 25 per cento), ma anche facendo un lavoro completamente diverso rispetto all’obiettivo (48 per cento) o addirittura rimettendosi a studiare (32 per cento).

Evidenti le criticità nel rapporto tra scuola e mondo del lavoro tanto che solo il 22 per cento dei giovani ha un impiego totalmente coerente con gli studi, mentre il 33 per cento lo ha solo in parte, l’11 per cento poco e il 34 per cento per niente. “In un Paese vecchio come l’Italia la prospettiva di abbandono evocata dai giovani italiani è una perdita di risorse insopportabile se si vuole tornare a crescere. L’emigrazione giovanile è una sconfitta per tutti, dal mondo scolastico a quello imprenditoriale, dalle famiglie alle Istituzioni”, ha concluso il presidente della Coldiretti Roberto Moncalvo.