L’Ordine degli Psicologi regionale interviene sulla piaga della ludopatia in Emilia-Romagna: nella regione spesi oltre 6 milioni in un anno
Sono 6.234 i milioni di euro che emiliani e romagnoli hanno riversato nel gioco d’azzardo nel 2016. Secondo gli ultimi dati del Libro Blu dell’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli, che tiene conto soltanto dei punti vendita fisici, lasciando da parte, quindi, la crescente fetta di spese di questo tipo fatta su internet, tale è quella che viene tecnicamente chiamata “raccolta”, in crescita di poco meno del 5% sull’anno precedente (5.994 milioni di euro nel 2015).
Si contano in regione quasi 1.400 persone seguite dai servizi per dipendenza patologica da gioco d’azzardo in Emilia-Romagna (http://salute.regione.emilia-romagna.it/news/regione/gioco-dazzardo-via-libera-al-piano-regionale-da-3-7-milioni-di-euro): nel 2016 sono state 1382, un incremento notevole se confrontato con le 512 persone trattate nel 2010.
Sul sito della Regione Emilia-Romagna sono presenti alcuni suggerimenti su come cercare di evitare che il gioco responsabile sfoci nella patologia, tramite strategie preventive mirate. Tra queste regole figurano il porre limiti di tempo e denaro da dedicare all’azzardo, non giocare in situazioni di stress emotivo, non accostare alcol e droga al gioco.
L’Ordine degli Psicologi dell’Emilia-Romagna precisa che il giocatore patologico è caratterizzato dalla compulsione al gioco, che non riesce a limitare, mentre il giocatore comune è capace di restringere il gioco a specifici ambiti e momenti.
Mentre normalmente si è in grado di riconoscere le situazioni di rischio troppo elevato e limitarsi di conseguenza, un ludopatico non riesce a fermarsi perché sospinto da un impulso irrefrenabile che lo induce a indirizzare le energie, l’attenzione e i pensieri quasi esclusivamente a questa attività senza alcuna consapevolezza delle conseguenze del suo agire.
L’Ordine sottolinea inoltre come la ludopatia sia a tutti gli effetti una forma di dipendenza, che può attecchire più facilmente sui soggetti fragili, come giovani, anziani e persone in difficoltà economiche, affettive e/o psicologiche. Situazioni particolari che possono provocare sentimenti di smarrimento e vuoto – come ad esempio abbandoni, lutti, perdita del lavoro – possono favorire la dipendenza perché la persona può tendere a compensare il proprio stato di sofferenza ricercando emozioni forti tipiche del gioco d’azzardo.
Anche se, tendenzialmente, i giocatori patologici tendono a giocare per alleviare stati di malessere psicologico spesso preesistenti al disturbo ludopatico. L’individuazione delle cause può essere uno strumento importante per risolvere il problema: sentimenti di impotenza, disistima, ansia e depressione derivanti da problematiche personali o relazionali possono essere alla radice dell’abuso del gioco d’azzardo.
“Vogliamo evidenziare, inoltre, che i dati a nostra disposizione sulle somme investite nel gioco d’azzardo al momento non tengono conto dell’uso dei numerosi portali dedicati alle scommesse presenti su internet. Il fenomeno del gioco on-line, invece, è sempre più diffuso e può essere estremamente pericoloso proprio perché effettuato nell’isolamento della propria casa, dove la sala da gioco virtuale è sempre a disposizione. Questo tipo di contesto, quindi, accentua il rischio che il gioco d’azzardo diventi compulsivo e sempre più frequente” spiega l’Ordine.
Come per le altre dipendenze è comunque possibile curarsi e uscire dalla spirale distruttiva. La cura del gioco d’azzardo patologico si può avvalere di una équipe di specialisti formata da psicologi, medici, assistenti sociali, educatori e infermieri. È importante notare come l’esperienza clinica abbia dimostrato che il trattamento dello stadio acuto e la prevenzione delle ricadute sono più efficaci quando si sommano due o più tipologie di intervento, come la psicoterapia, l’uso di farmaci e inserimenti in comunità terapeutiche. Come nel trattamento delle altre forme di dipendenza, può essere richiesto il coinvolgimento della famiglia o della coppia: le relazioni fungono da rete protettiva per la persona in cura che si sente sostenuta in un momento particolarmente difficoltoso da un punto di vista psicologico.