Italia fanalino di coda in Europa nell’occupazione femminile ma per le laureate è oltre l’83% secondo un’analisi dell’Osservatorio statistico dei Consulenti del Lavoro
Il tasso di occupazione femminile italiano (48,1%) è ancora distante dall’obiettivo che la strategia di Lisbona indicava del 60% per il 2010. Attualmente l’Italia occupa il penultimo posto tra i Paesi europei nella classifica dei tassi di occupazione delle donne dai 15 ai 64 anni con 13,2 punti percentuali di differenza rispetto alla media europea (61,3%). È messa peggio solo la Grecia (43,3%), mentre in Francia, Germania e Regno Unito, oltre 60 donne su 100 sono occupate. L’Osservatorio Statistico dei Consulenti del Lavoro, in occasione della Festa delle donne dell’8 marzo, ha analizzato i riflessi della bassa partecipazione delle donne, ed in particolare delle madri, al mercato del lavoro ed ha messo a fuoco le gravi conseguenze anche sul piano pensionistico. Le poche donne che lavorano, infatti, hanno per lo più carriere discontinue e con redditi inferiori agli uomini per via del largo uso del part time: il 40,1% delle mamme 25-49 anni è impiegata a tempo parziale (contro il 26,3% delle donne senza ruolo genitoriale) mentre per gli uomini è una condizione residuale non arrivando al 10%.
Carriere discontinue e orario di lavoro ridotto rappresentano condizioni che non consentono di alimentare in modo continuo le posizioni previdenziali utili all’accesso alla pensione di vecchiaia. In base ai dati Inps, nonostante le beneficiarie di prestazioni pensionistiche siano 8,4 milioni (862 mila in più degli uomini), solo il 36,5% beneficia della sola pensione di vecchiaia frutto della propria storia contributiva, contro il 64,2% degli uomini. Mentre l’assegno medio mensile delle donne con la sola pensione di vecchiaia è di 14.690 euro annui, con un gap di oltre un terzo rispetto a quello degli uomini (23.409 euro annui). La gestione dei tempi di lavoro e di cura dei figli rappresenta una dimensione rilevante per il tema dell’occupazione femminile.
Le donne con almeno un figlio registrano un tasso di occupazione inferiore di oltre 15 punti percentuali rispetto a quello di chi non ha figli. Al crescere del numero di figli diminuisce proporzionalmente il tasso di occupazione femminile. Prendendo a riferimento il tasso di occupazione delle donne senza figli (70,8%), questo scende di oltre 8 punti per le mamme con un solo figlio (62,2%), di oltre 18 punti in caso di due figli (52,6%) e di oltre 22 punti percentuali (39,7%) nel caso di almeno tre figli. Il livello di inattività fra i 25 e 49 anni è infatti speculare alle dinamiche occupazionali appena osservate: la presenza di figli porta una gran parte delle mamme (né occupate, né disoccupate) ad uscire dalle forze di lavoro entrando nella popolazione degli inattivi.
Per le donne laureate tasso di occupazione all’83,8%
Nelle dinamiche occupazionali al femminile ha una sua rilevanza l’istruzione. Per le donne laureate la maternità non ha un impatto così significativo sulla partecipazione al mercato del lavoro. Il tasso di occupazione femminile per le donne laureate senza carichi familiari raggiunge l’83,8%. Le mamme laureate hanno una perdita di soli 7,2 punti percentuali del tasso di occupazione (76,6%). Anche con l’aumentare del numero di figli i livelli occupazionali delle donne laureate restano superiori al 70%. La disponibilità di risorse economiche permette alle donne occupate con alti stipendi di poter far fronte alla cura dei minori acquistando i servizi di cura sul mercato dei servizi privati. Dinamica molto diversa si osserva per le diplomate e per le donne con la sola licenza media. Ogni 100 diplomate senza figli ne risultano occupate 70,9, mentre in caso di almeno un figlio la percentuale scende al 59,4% (-11,5%). Ancora più grave è la condizione delle donne con la licenza media, che hanno un tasso di occupazione molto basso in mancanza di figli (51,6%), che scende ulteriormente di quasi 17 punti percentuali (35%) se sono mamme. Per le madri di famiglie numerose (con oltre 2 figli) meno istruite, il tasso di occupazione arriva a livelli minimi (23,6%). In questi casi i costi sostitutivi alla cura dei figli (asili nido e baby-sitter) non sono coperti dai livelli di reddito delle donne con medio o basso livello di istruzione.