Indagine Coldiretti: il burro è tornato ad essere uno dei grassi più usati in cucina per i suoi molti punti di forza
Burro alla riscossa con l’aumento del 12,5% della spesa nel carrello delle famiglie italiane nel 2017 dovuta anche al riconoscimento di positive proprietà da parte di recenti studi scientifici che hanno fatto cadere pregiudizi nei confronti di un prodotto che viene oggi percepito come più naturale e salutare di altri. È quanto emerge da una analisi della Coldiretti sui dati Ismea che evidenziano una decisa inversione di tendenza negli acquisti per uno dei condimenti più tradizionali della dieta degli italiani.
Il burro sta riacquistando popolarità ed è tornato ad essere uno dei grassi più usati in cucina per i suoi molti suoi punti di forza: a differenza delle margarine non è un prodotto chimico, è meno calorico degli oli, non è idrogenato ed è ricco di nutrienti come il calcio, sali minerali, proteine del latte e la vitamina A, senza contare che è un prodotto del tutto naturale e senza conservanti.
A spingere la domanda del burro anche la scelta di un numero crescente di industrie alimentari di orientarsi verso prodotti “olio di palma free” che hanno avuto un incremento record delle vendite del 17,6% nel 2017 sulla base delle elaborazioni Coldiretti sui dati dell’Osservatorio Immagino.
La domanda ha fatto balzare verso l’alto anche le quotazioni alla produzione del burro salite del 20% dall’inizio del 2018 con un trend rialzista che coinvolge anche la Germania dove si sono raggiunti i 5 euro al chilo con un progresso del 25% da gennaio a oggi, mentre in Francia hanno toccato i 4,4 euro al chilo. Al contrario si registra la frenata del prezzo internazionale dell’olio di palma che da gennaio a oggi ha lasciato sul campo il 3% del valore.
Il positivo momento del burro con l’aumento delle quotazioni segue l’entrata in vigore in Italia dell’obbligo di indicare in etichetta l’origine in tutti i prodotti lattiero caseari voluta dalla Coldiretti per restituire trasparenza e valore al settore. L’inversione di rotta del burro avviene infatti in un contesto produttivo che negli ultimi dieci anni ha visto praticamente dimezzato il numero di stalle presenti in Italia che hanno raggiunto il minimo storico di 30mila allevamenti, rispetto ai 60mila attivi nel 2005. Un fenomeno causato proprio dal crollo del prezzo pagato agli allevatori che è rimasto per lungo tempo addirittura al di sotto dei costi di alimentazione del bestiame.