Lo rivela l’ultima indagine dell’Osservatorio Statistico dei Consulenti del Lavoro: lo scarso investimento nei servizi per l’impiego non frena la disoccupazione di lunga durata e la spesa per le politiche passive
Il tema del lavoro e della disoccupazione è stato al centro della campagna elettorale, e gli ultimi dati Istat hanno certificato che trovare un’occupazione resta ancora un miraggio per molti giovani. Molto dipende anche dalla scarsa efficacia dei centri per l’impiego e, più in generale, di una scarsa attenzione nel nostro Paese per le politiche attive del lavoro, alle quali vengono preferiti investimenti per i sussidi.
I dati dicono che la disoccupazione di lunga durata (di oltre 12 mesi) ha un carattere strutturale che la vede primeggiare costantemente nelle classifiche europee. Gli investimenti nei servizi per il lavoro consentono a i Paesi membri di gestire la disoccupazione, soprattutto quella di lunga durata. Ma in Italia, secondo quanto emerge dalla ricerca dell’Osservatorio statistico dei Consulenti del Lavoro intitolata “Dal Welfare al Workfare. Le politiche attive come strumento di contenimento della spesa sociale per la disoccupazione”, presentata dal Comitato Economico e Sociale Europeo nel corso delle audizioni del 12 e 13 marzo 2018 al CNEL, questo tipo di investimento è utilizzato poco e con scarsi risultati.
I rappresentanti del CESE – la Presidente del Consiglio nazionale dell’Ordine dei Consulenti del Lavoro e del Comitato Unitario delle Professioni, Marina Calderone (Gruppo III), Cinzia Del Rio (Gruppo II) e Georgi Stoev (Gruppo I) – hanno sottoposto al Presidente del CNEL Tiziano Treu, al Presidente dell’ANPAL Maurizio Del Conte e al Responsabile della Segreteria Tecnica del Ministero del Lavoro Bruno Busacca, un confronto sulle spese sostenute per le politiche del lavoro in Italia, in Germania e in Francia.
Le politiche attive in Europa rappresentano il principale strumento con cui ridurre la spesa per i sussidi di disoccupazione. In Italia, però, lo scarso investimento nei servizi per l’impiego pubblici non consente di tenere sotto controllo la disoccupazione di lunga durata e la spesa per le politiche passive, tantomeno di sviluppare adeguatamente le politiche attive del lavoro. Con il termine “workfare”, invece, si vuole indicare il passaggio dalle politiche di welfare assistenziali alle politiche di attivazione (workfare, appunto). Nel momento in cui una misura di politica attiva favorisce il reinserimento occupazionale di un disoccupato il risultato è duplice, in quanto si incrementa l’occupazione da una parte e si consente di risparmiare sul costo delle politiche passive dall’altra.
Se, poi, andiamo a guardare la spesa complessiva sostenuta dal nostro Paese nel 2015 per le politiche del lavoro, notiamo che questa è pari a 28,9 miliardi di euro (l’1,75% del PIL), di cui tre quarti vengono destinati alle politiche passive.
Nel 2015 l’Italia ha speso solo 750 milioni di euro per i servizi pubblici per l’impiego: cifra che serve a coprire il costo di circa 9 mila dipendenti dei centri per l’impiego pubblici. Questo investimento è in netto contrasto con i 5,5 miliardi di euro spesi dalla Francia e gli 11 miliardi di euro sostenuti dalla Germania per i servizi per l’impiego nazionali.
Infatti, se la spesa destinata ai servizi per il lavoro fosse stata in linea con la media europea (0,21% del PIL), lo stanziamento in Italia avrebbe dovuto essere pari a circa 3,5 miliardi di euro. Inoltre, se guardiamo la spesa sostenuta nel 2015 per le misure di politica del lavoro si scopre che questa ammonta a 6,9 miliardi di euro, di cui il 55% viene destinato ad incentivi alle assunzioni, il 40% alla formazione, il 4% all’avvio di start-up e l’1% alla creazione diretta di posti di lavoro.
Se confrontiamo questi dati con quelli tedeschi e francesi, la spesa per gli incentivi è limitata rispettivamente all’8% e al 6%. L’Italia fa registrare, quindi, un continuo ricorso alle agevolazioni per le assunzioni a tempo indeterminato, che consentono di favorire principalmente solo le stabilizzazioni dei rapporti di lavoro e non la nascita di nuova occupazione e il reinserimento nel mercato dei disoccupati. Il solo esonero contributivo triennale, ad esempio, è costato 2,224 miliardi nel 2015 e 6,360 miliardi di euro nel 2016 (al quale va aggiunto l’esonero biennale che nel 2016 ha prodotto un ulteriore costo di 415 milioni di euro).
Con l’introduzione nell’ultima riforma del lavoro (Jobs Act) del contratto a tutele crescenti, che ha fortemente inciso sulla flessibilità in uscita, il Legislatore ha voluto incrementare le tutele nel mercato del lavoro con un nuovo strumento di politica attiva: l’assegno di ricollocazione. Questa misura, che dovrebbe aiutare i soggetti disoccupati percettori di Naspi da almeno 5 mesi a rientrare nel mercato attraverso servizi di politica attiva, dopo un lungo periodo di sperimentazione, andrà a regime a partire dal mese di aprile ed interesserà circa 975 mila persone.
“In questo nuovo scenario i Consulenti del Lavoro svolgeranno un ruolo strategico”, ha dichiarato la Presidente del Consiglio nazionale dell’Ordine, Marina Calderone. “Tramite i delegati della Fondazione Consulenti per il Lavoro, l’organismo di Categoria accreditato a livello nazionale per l’erogazione dei servizi per il lavoro, potremo affiancare i servizi per l’impiego pubblici nell’accompagnamento dei disoccupati, destinatari dell’assegno, nel percorso di ricerca di una nuova occupazione”, ha concluso.