L’organizzazione lancia un appello per 113 milioni di dollari per rispondere alle necessità di 720.000 bambini Rohingya nelle comunità che li ospitano
La crisi dei Rohingya in fuga dal Myanmar e sfollati in Bangladesh continua e nelle ultime settimane ci sono stati circa 500 nuovi arrivi ogni settimana. Circa 100.000 rifugiati Rohingya sono a rischio di inondazioni e frane quando arriveranno le piogge monsoniche e uno studio più recente mostra che fino a 220.000 persone rischiano lo sfollamento, la separazione delle famiglie e malattie.
Marixie Mercado, Portavoce UNICEF, nell’ambito del piano di risposta congiunto per i Rohingya (Rohingya Joint Response Plan), spiega che l’organizzazione ha bisogno di 113 milioni di dollari per rispondere alle necessità di 720.000 bambini – sia rohingya sia bambini del Bangladesh nelle comunità che li ospitano – fino alla fine del 2018.
Gli sforzi straordinari del governo del Bangladesh, col supporto della comunità umanitaria, hanno portato protezione e aiuti fondamentali alle famiglie. Ma la crisi continua: i Rohingya che ci riescono, stanno ancora scappando dal Myanmar.
Il piano di risposta include bisogni a lungo termine: prima di tutto istruzione e protezione, specialmente supporto psicologico, per i bambini. Insieme ai partner, l’UNICEF ha raggiunto 82.000 bambini fra i 4 e i 14 anni con apprendimento elementare – inglese, birmano e un po’ di matematica – e abilità utili per la vita. Il piano punta a raggiungere 270.000 bambini entro la fine dell’anno: un’enorme impresa, ma che può fare la differenza fra la speranza e la disperazione. L’UNICEF pianifica inoltre di fornire supporto psicosociale a 350.000 minori e circa 140.000 di loro li sta già raggiungendo.
“Il bisogno di questo aiuto, di queste cure, non può essere sottostimato. Questo appello per i Rohingya non rappresenta una soluzione o una risposta a ciò che li spinge oltre i confini del loro Paese in primo luogo, e alle problematiche a lungo termine che affrontano. È un appello per prevenire malattie, abusi e morte in un ambiente pieno di rischi; è un appello per fornire loro una piccola apparenza di normalità, un po’ di infanzia” spiega Mercado.
La portata dei bisogni immediati, di base e salvavita, rimane immensa. Per esempio: ogni giorno sono necessari 17 milioni di litri di acqua pulita; sono necessarie 50.000 latrine, di cui 28.000 costruite; oltre 200.000 bambini non stanno ancora ricevendo nessun tipo di istruzione.
Il piano di risposta include il lavoro di preparazione per proteggere i rifugiati Rohingya dalle imminenti piogge monsoniche e da potenziali cicloni. Le prime stime indicano 100.000 rifugiati a rischio di inondazioni e frane quando arriveranno le piogge. Uno studio più recente mostra che fino a 220.000 persone rischiano lo sfollamento, la separazione delle famiglie e malattie. Prevenire la diffusione delle malattie è una priorità fondamentale. All’apice dell’epidemia di diarrea l’anno scorso, venivano segnalati fino a 10.000 casi ogni settimana. L’UNICEF si sta preparando per 40.483 casi in tre mesi.
Oltre 1.600 latrine sono state già dismesse per prevenire la contaminazione e la diffusione di malattie. C’è un solo centro per la cura della diarrea pienamente funzionante e l’UNICEF ne sta preparando altri quattro.
L’UNICEF ha già aperto 10 centri medici in zone sopraelevate e ne sta costruendo altri 9. Le strutture, fra cui scuole e spazi a misura di bambino e centri sanitari, a rischio di inondazioni e frane, sono state individuate e saranno rinforzate, dismesse o trasferite.
Una volta che cominceranno le inondazioni, diventerà sempre più difficile raggiungere le famiglie con assistenza, e per loro raggiungere gli aiuti. L’UNICEF sta costruendo rifugi temporanei d’emergenza per prevenire la separazione delle famiglie e per assicurare una riunificazione rapida, se necessario. Gli aiuti verranno posizionati in precedenza presso un’unità logistica vicina ai campi e saranno spostati ai centri di distribuzione attraverso una rete di persone che li trasporteranno sulle loro schiene nel caso in cui l’accesso dovesse essere impossibile ai camion.
Esistono anche rischi nuovi e gravi. Le verifiche condotte a novembre e dicembre 2017 indicano che fino al 70% dei punti d’erogazione d’acqua sono stati contaminati dal batterio Escherichia coli. È attualmente in corso una ampia campagna di clorazione. Per i pozzi contaminati, è necessario smantellare le pompe manuali e mettere il cloro nell’acqua dei pozzi: 30 pozzi tubolari sono stati decontaminati finora. Nei prossimi giorni e settimane, migliaia di volontari aiuteranno a decontaminare l’acqua dei 6.000 punti d’erogazione nei campi. Lavoreranno ai punti d’erogazione fino a 20 ore al giorno, clorando le taniche e i secchi che le persone utilizzano per raccogliere l’acqua.