Don Diana fu ucciso a Casal di Principe il 19 marzo 1994. Le sue azioni di denuncia morale scossero le coscienze diventando un pericolo per i clan camorristici
Erano le 7.20 del mattino del 19 marzo 1994 e don Giuseppe Diana si accingeva a celebrare la santa messa della chiesa di San Nicola di Bari a Casal di Principe, in provincia di Caserta. Un uomo improvvisamente lo affrontò in sacrestia sparando cinque proiettili: due alla testa, uno al volto, uno alla mano e uno al collo. Don Diana morì all’istante. L’assassino volle anche scempiarne il corpo con ulteriori colpi di pistola al basso ventre per indicare falsamente un movente sessuale e così tentare di infangare la sua figura che era diventato un simbolo di riscatto per la popolazione vessata dalla criminalità organizzata.
L’omicidio di don Diana fece scalpore in tutta Italia e anche papa Giovanni Paolo II durante l’Angelus del 20 marzo 1994 pronunciò un messaggio di cordoglio. Sin dall’inizio del processo si è tentato di depistare le indagini e di infangare la figura del sacerdote, accusandolo di essere frequentatore di prostitute, pedofilo e custode delle armi destinate a uccidere il procuratore Cordova.
Le ragioni per le quali fu ucciso il parroco di Casal di Principe sono emerse successivamente nel processo in secondo grado e poi in Cassazione, quando i giudici ribaltarono la sentenza di primo grado ed esclusero l’ipotesi della custodia da parte del parroco delle armi, fatto che aveva innescato la macchina del fango contro don Diana.
Nunzio De Falco è stato condannato all’ergastolo come mandante dell’omicidio. Inizialmente De Falco tentò di far cadere le colpe sul rivale Schiavone, ma il tentativo fallì perché Giuseppe Quadrano, autore materiale dell’omicidio, consegnatosi alla polizia, iniziò a collaborare con la giustizia e per questo ricevette una condanna a 14 anni. Il 4 marzo 2004 la Corte di Cassazione ha condannato all’ergastolo Mario Santoro e Francesco Piacenti come coautori dell’omicidio. Secondo la ricostruzione dei magistrati don Diana aveva rifiutato la celebrazione dei funerali in chiesa di un malavitoso e questo gesto era stato considerato un affronto troppo duro da sopportare. Tre giorni dopo il nipote del morto, infatti, entrò in sagrestia e sparò al sacerdote.
Il suo impegno civile e religioso contro la camorra ha lasciato un profondo segno nella società campana. Don Peppino Diana cercava di aiutare la gente comune che si trovava in difficoltà negli anni del dominio della camorra casalese, legata principalmente al boss Francesco Schiavone, detto “Sandokan”. La sua voce era divenuta un grido che scuoteva le coscienze. Le sue non erano prediche generiche o esortazioni buone per ogni cerimonia, ma ragionamenti ricchi di esempi, di nomi e di cognomi, di denunce etiche e politiche.
Lo Stato ha conferito al sacerdote la medaglia d’oro al valore civile per essere stato in prima linea contro il racket e lo sfruttamento degli extracomunitari, e perché, pur consapevole di esporsi a rischi mortali, non ha esitato a schierarsi nella lotta contro la camorra ed ha onorato il suo sacrificio con il riconoscimento, concesso a favore dei suoi familiari, costituitisi parte civile nel processo dal Comitato di solidarietà per le vittime dei reati di tipo mafioso di cui alla legge n. 512/99.
Gli stati generali delle terre di don Diana
In occasione del 24° anniversario dell’uccisione di don Giuseppe Diana oggi, 19 marzo 2018, alla Casa Don Diana (bene liberato dalla camorra) sono stati organizzati dal comitato don Peppe Diana ed il coordinamento provinciale di Libera Caserta, “Gli stati generali delle terre di don Diana” a cui prenderanno parte il prefetto di Caserta Raffaele Ruberto e il prefetto Vincenzo Panico, commissario per le Vittime dei Reati Mafiosi e dei Reati Intenzionali Violenti.
Chi era don Diana
Don Giuseppe Diana, più noto come Peppe o Peppino, nacque a Casal di Principe, nell’agroaversano, il 4 luglio 1958, da una famiglia di proprietari terrieri. Nel 1968 entrò in seminario ad Aversa dove frequentò la scuola media e il liceo classico. Successivamente continuò gli studi teologici nel seminario di Posillipo, sede della Pontificia facoltà teologica dell’Italia Meridionale. Qui si laureò in teologia biblica e poi in Filosofia presso l’Università Federico II di Napoli.
Nel 1978 entrò nell’Associazione Guide e Scouts Cattolici Italiani (AGESCI), prima capo reparto dell’Aversa 1, poi assistente del gruppo, impegnato in zona e in regione, assistente nazionale dei Foulards Blancs, assistente generale dell’Opera pellegrinaggi Foulards Blancs. Essere prete e scout significava per lui la perfetta fusione di ideali e di servizio.
Fu ordinato sacerdote nel marzo 1982. Dal 19 settembre 1989 divenne parroco della parrocchia di San Nicola di Bari in Casal di Principe, suo paese natale, e successivamente anche segretario del vescovo della diocesi di Aversa, monsignor Giovanni Gazza. Insegnò materie letterarie presso il liceo legalmente riconosciuto del seminario Francesco Caracciolo, nonché religione cattolica presso l’istituto tecnico industriale statale Alessandro Volta e l’Istituto Professionale Alberghiero di Aversa. Il suo impegno civile e religioso contro la camorra ha lasciato un profondo segno nella società campana. Don Peppino Diana era un sacerdote che amava confondersi tra la gente, girava per il paese in jeans e non in tonaca; aveva, insomma, deciso che dalla sua faccia doveva emergere trasparenza, lui era così come appariva.
La sua voce era divenuta un grido che scuoteva le coscienze. Le sue non erano prediche generiche o esortazioni buone per ogni cerimonia, ma ragionamenti ricchi di esempi, di nomi e di cognomi, di denunce etiche e politiche. Aveva iniziato a realizzare un centro di accoglienza dove offrire vitto e alloggio ai primi immigrati africani perché pensava che fosse necessario accoglierli per evitare che i clan potessero iniziare a farne dei perfetti soldati. Per realizzare il progetto aveva utilizzato anche alcuni risparmi personali accumulati con la sua professione di insegnante.
La sua “Chiesa” doveva essere al servizio dei poveri, degli ultimi ed infatti diceva che “dove c’è mancanza di regole, di diritto si affermano il non diritto e la sopraffazione. Bisogna risalire alle cause della camorra per sanarne la radice che è marcia… dove regnano povertà, emarginazione, disoccupazione e disagio è facile che la mala pianta della camorra nasca e si sviluppi”.
Cercava di invitare i giovani a farsi avanti, a far sentire la propria voce e partecipare al dialogo culturale, politico e civile della vita comunale. Al contrario, invitava i camorristi a tenersi in disparte, a non inquinare e affossare il paese.
Uno dei suoi testamenti spirituali è il documento contro la camorra “Per Amore del mio popolo” scritto nel 1991 insieme ai sacerdoti della Forania di Casal di Principe. Il messaggio, di rara intensità, fu diffuso a Natale del 1991 in tutte le chiese di Casal di Principe e della zona aversana. Nel documento la camorra era presentata “come una forma di terrorismo che incute paura, impone le sue leggi e tenta di diventare una componente endemica nella società campana… La Camorra rappresenta uno Stato deviante parallelo rispetto a quello ufficiale. Proprio il disfacimento delle istituzioni civili ha consentito l’infiltrazione del potere camorristico a tutti i livelli. E’ in questo quadro che le Chiese hanno il compito di farsi promotrici di serie analisi sul piano culturale, politico ed economico coinvolgendo anche gli intellettuali mentre ai preti è richiesto di parlare chiaro nelle omelie ed in tutte le occasioni in cui si richiede una testimonianza coraggiosa”.
Il 25 aprile 2006, a Casal di Principe, venne ufficialmente costituito il Comitato don Peppe Diana con lo scopo di non dimenticare il martirio di un sacerdote morto per amore del suo popolo. Il comitato ebbe origine nel 2003 da sette organizzazioni attive nel sociale, poi quel nucleo iniziale fu arricchito dal contributo degli amici di don Peppe facendo maturare la necessità di costituire un’associazione di promozione sociale al servizio di quanti come don Peppe volevano continuare a costruire comunità alternative alla camorra.
Il Comitato ha provato a definire sul territorio nuove strategie, nuovi modelli di economia con l’utilizzazione da parte di cooperative dei beni confiscati, l’inserimento di soggetti svantaggiati, dando lavoro e dignità alle persone che vivono in questi territori e hanno deciso di rimanere per costruire terre nuove. Con l’aiuto di Libera, nelle terre confiscate ai clan nel casertano, operano cooperative agricole che promuovono i prodotti tipici del luogo nel nome di don Diana.
A don Giuseppe Diana è stato intitolato nel 2010 l’Istituto di Istruzione Superiore di Morcone (BN) e l’Istituto Comprensivo 3 di Portici (NA). L’8 novembre 2014 nacque in Molise a Termoli la Scuola di Legalità intitolata alla memoria di don Giuseppe Diana, fondata e diretta da Vincenzo Musacchio.
Nel gennaio 2013 è andata in onda sulle reti RAI una fiction dal titolo “Il clan dei camorristi” nella quale il personaggio di don Palma, è ispirato a don Giuseppe Diana. L’anno successivo, a vent’anni dalla scomparsa del sacerdote sempre la Rai 1 ha trasmesso in prima visione una Fiction TV in due puntate dal titolo “Per amore del mio popolo” con l’attore napoletano Alessandro Preziosi nel ruolo di don Peppe Diana. Al sacerdote è stato anche dedicato un documentario da Rai Storia, dal titolo “Non tacerò, la storia di don Peppe Diana”. Infine anche nella fiction Rai “Sotto copertura” viene fatto riferimento al personaggio di Giuseppe Diana per parlare della sua lotta contro la criminalità organizzata