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Nuovo Governo: manovra da 18,5 miliardi per evitare l’aumento IVA

Respinte, in Senato, le proposte di modifica del calendario: il Ddl Zan sarà in Aula il 13 luglio, data decisa a maggioranza dall’ultima capigruppo

Secondo i calcoli della CGIA di Mestre la manovra che toccherà al prossimo esecutivo dovrà anche correggere i nostri conti pubblici e far fronte a uscite già impegnate

Il nuovo Governo dovrà predisporre entro la fine di quest’anno una manovra di bilancio da almeno 18,5 miliardi di euro per evitare l’aumento dell’Iva, per correggere i nostri conti pubblici e per far fronte a uscite già impegnate.

Secondo i dati elaborati dall’Ufficio studi della CGIA, in particolare, bisognerà recuperare 12,4 miliardi per sterilizzare l’aumento dell’Iva, che diversamente scatterà dal 1 gennaio 2019, altri 3,5 miliardi che l’Unione europea ci sta per chiedere, al fine di perseguire il pareggio di bilancio come previsto dal cosiddetto “Six pack” e, infine, ulteriori 2,6 miliardi per “coprire” una serie di spese non differibili.

“Purtroppo – afferma il coordinatore dell’Ufficio studi della CGIA Paolo Zabeo – l’entità di questa manovra stride in maniera evidente con le promesse elettorali avanzate nelle settimane scorse da coloro che oggi scalpitano per guidare il Paese. Dopo l’ubriacatura che abbiamo subito leggendo gli effetti positivi dovuti all’applicazione della flat tax, del reddito di cittadinanza o dalla cancellazione della legge Fornero, sarà interessante capire come, in pochi mesi, chi ci governerà recupererà oltre un punto di Pil”.

La CGIA tiene inoltre a precisare che il peggioramento dello 0,4 per cento del nostro rapporto deficit/Pil, registrato nei giorni scorsi dall’Istat e ascrivibile al salvataggio pubblico delle due banche venete e del Monte dei Paschi di Siena, non ha alcun impatto sui conti pubblici degli anni a venire in quanto è una misura una tantum relativa al 2017.

Le voci che costituiscono la manovra

Nel caso non si dovessero trovare 12,4 miliardi di euro, dal 1 gennaio 2019 l’aliquota Iva, attualmente al 10 per cento, salirebbe all’11,5 per cento; altresì, quella attuale del 22 per cento schizzerebbe addirittura al 24,2 per cento. Per quanto concerne gli impegni presi con Bruxelles, così come previsto dal “Six pack”, nel 2017 ci era stata chiesta una riduzione del rapporto deficit/Pil dello 0,5 per cento. Alla luce degli eventi sismici che hanno colpito il centro Italia e ai problemi legati ai flussi migratori provenienti dal Nord-Africa, alla fine la Commissione Europea ha ridotto l’entità della richiesta allo 0,16 per cento del Pil (manovra correttiva di giugno 2017 da 1,6 miliardi di euro).

A consuntivo, tuttavia, sembrerebbe esserci uno scostamento di 0,5 punti percentuali rispetto alla correzione richiesta, anche perché è aumentata ancora la nostra spesa pubblica. Pertanto, l’Unione europea starebbe per chiederci una manovra correttiva da 3,5 miliardi di euro. Infine, entro la fine del 2018 bisognerà trovare circa 2 miliardi di euro per il rinnovo del contratto di lavoro degli statali, ulteriori 500 milioni di spese “indifferibili” e altri 140 milioni per evitare l’aumento delle accise sui carburanti a partire dal 1 gennaio 2019.

“Sebbene l’anno scorso abbiamo toccato il record di crescita degli ultimi 7 anni – ricorda il Segretario della CGIA Renato Mason – comunque siamo quelli che nella Ue sono cresciuti meno. Secondo le previsioni di Bruxelles questa tendenza continuerà anche nel biennio 2018-2019: saremo il Paese europeo con la crescita economica più contenuta. Quest’anno, in particolare, l’aumento del Pil sarà dell’1,5 per cento per scendere all’1,2 per cento nel 2019. Nonostante la congiuntura internazionale sia positiva l’Italia fatica a crescere, trascinandosi tutti i problemi che ci affliggono ormai da più decenni”.

Bisogna tornare ad investire

Per la CGIA, comunque, bisogna tornare ad investire, visto che negli ultimi 10 anni (2007-2017) il nostro Paese ha registrato una caduta verticale di questi ultimi del 21 per cento. In quali settori? Oltre a puntare sui processi di digitalizzazione del comparto produttivo è altresì indispensabile intervenire nella scuola e nella formazione, nei settori ad alta innovazione tecnologica ma, anche, nella messa in sicurezza del nostro Paese.

Secondo i dati ISPRA-Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale, l’88 per cento dei comuni italiani ha almeno un’area classificata ad elevato rischio idrogeologico. Secondo l’Associazione ISI-Ingegneria Sismica Italiana, invece, il 40 per cento delle abitazioni di edilizia residenziale pubblica è ubicata in una zona ad elevato rischio sismico. L’Istat, infine, ci segnala che quasi il 40 per cento dell’acqua va persa a causa dell’ obsolescenza della nostra rete acquedottistica pubblica. Anche alla luce di questi numeri, la messa in sicurezza del nostro paese è una priorità che va affrontata subito sia per evitare tragedie future, ma anche per far girare l’economia e creare nuovi posti di lavoro.

L’opportunità della “golden rule”

La riduzione degli investimenti pubblici avvenuti in questo ultimo decennio, purtroppo, sono stati condizionati anche dai vincoli di bilancio imposti da Bruxelles. Tuttavia, ricorda la CGIA, esiste una regola aurea, ancora inutilizzata, che potrebbe consentire ai Paesi membri di superare questo ostacolo. La “golden rule”, infatti, è una regola di bilancio di semplice enunciazione che, in estrema sintesi, consentirebbe solo agli investimenti pubblici in conto capitale di essere finanziati in disavanzo. Per fare questo, ovviamente, l’Italia avrebbe dovuto imporre nell’agenda europea questo argomento, trovare le alleanze e convincere coloro che la pensano diversamente di cambiare opinione, affinché questa opportunità diventasse parte integrante dell’ordinamento giuridico dell’Unione europea. La partita rimane aperta e il prossimo Governo non potrà esimersi dall’affrontare anche questa questione, oltre a quella della manovra.

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