La Fondazione Studi Consulenti del Lavoro fornisce un vademecum ai datori di lavoro riepilogativo delle novità e delle modalità operative per il nuovo obbligo sulla tracciabilità delle retribuzioni in vigore dal 1° luglio
Dal 1° luglio 2018 scatta l’obbligo di pagamento delle retribuzioni esclusivamente attraverso una banca o un ufficio postale, con le modalità appositamente individuate dal Legislatore (art. 1, co. 910-915 L. 27.12.2017, n. 205 – Legge di Bilancio 2018). La Fondazione Studi Consulenti del Lavoro, con l’approfondimento dell’8 giugno 2018, fornisce un utile vademecum riepilogativo delle novità e delle modalità operative che i datori di lavoro dovranno seguire per adempiere al nuovo obbligo sulla tracciabilità delle retribuzioni.
Tracciabilità delle retribuzioni: la norma
Lo scopo immediato della norma sulla tracciabilità delle retribuzioni è quello di tracciare i pagamenti di stipendi ed anticipazioni, al fine di verificare che la retribuzione corrisposta non sia inferiore ai minimi fissati dalla contrattazione collettiva. La norma introduce due elementi innovativi fondamentali: sul piano sanzionatorio, nel caso di utilizzo di mezzi diversi da quali espressamente previsti per il pagamento, è prevista una sanzione amministrativa pecuniaria da 1.000 a 5.000 €; sul piano probatorio ribalta la presunzione invalsa, così che, con l’entrata in vigore della norma, la firma apposta sulla busta paga non costituisce prova dell’avvenuto pagamento della retribuzione.
Ambito di applicazione
L’ambito di applicazione è definito dal comma 912, che lo individua in riferimento a:
• rapporti di lavoro subordinato;
• collaborazioni coordinate e continuative;
• contratti di lavoro instaurati dalle cooperative con i propri soci ai sensi della Legge n. 142/2001.
L’applicazione ai rapporti di lavoro subordinato è prevista “indipendentemente dalle modalità di svolgimento della prestazione e dalla durata del rapporto”.
Pertanto, rientrano nell’applicazione della norma sulla tracciabilità delle retribuzioni tutte le tipologie contrattuali quali, a titolo esemplificativo, i contratti a tempo determinato, a tempo parziale, di apprendistato, di lavoro intermittente.
Quanto ai “contratti di collaborazione coordinata e continuativa”, il riferimento non può che essere circoscritto ai contratti d’opera ex art. 2222 c.c. che presentino gli ulteriori elementi previsti dall’articolo 409 c.p.c., come modificato dall’art. 15 della Legge n. 22 marzo 2017, n. 81.
La Fondazione ricorda che sono tali quelli che “[…] si concretino in una prestazione di opera continuativa e coordinata, prevalentemente personale, anche se non a carattere subordinato. La collaborazione si intende coordinata quando, nel rispetto delle modalità di coordinamento stabilite di comune accordo dalle parti, il collaboratore organizza autonomamente l’attività lavorativa”.
Tracciabilità delle retribuzioni: le cooperative
Sorge qualche dubbio sulla previsione che coinvolge anche i rapporti di lavoro con i soci di cooperativa.
Il citato comma 912 prevede infatti che sono compresi i “contratti di lavoro instaurati in qualsiasi forma dalle cooperative con i propri soci, ai sensi della legge 3 aprile 2001, n. 142”.
A tal fine va ricordato che la Legge n. 142/2001 regolamenta espressamente ed esclusivamente le cooperative nelle quali il rapporto mutualistico abbia ad oggetto la prestazione di attività lavorative da parte del socio, sulla base di previsioni di regolamento che definiscono l’organizzazione del lavoro dei soci.
L’art. 1, comma 3, della Legge n. 142/2001 recita: “Il socio lavoratore di cooperativa stabilisce con la propria adesione o successivamente all’instaurazione del rapporto associativo un ulteriore rapporto di lavoro, in forma subordinata o autonoma o in qualsiasi altra forma, ivi compresi i rapporti di collaborazione coordinata non occasionale, con cui contribuisce comunque al raggiungimento degli scopi sociali. Dall’instaurazione dei predetti rapporti associativi e di lavoro in qualsiasi forma derivano i relativi effetti di natura fiscale e previdenziale e tutti gli altri effetti giuridici rispettivamente previsti dalla presente legge, nonché, in quanto compatibili con la posizione del socio lavoratore, da altre leggi o da qualsiasi altra fonte”.
Pertanto, l’interpretazione letterale della norma porterebbe ad un campo di applicazione più ampio di quello previsto per i contratti stipulati dalla generalità dei datori di lavoro e committenti, giungendo a ricomprendervi ogni altro rapporto di lavoro, anche autonomo, diverso da quello coordinato e continuativo. “Sul punto è auspicabile un intervento chiarificatore dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro” spiega la Fondazione.
Rapporti di lavoro esclusi
Sono esclusi dal predetto obbligo della tracciabilità delle retribuzioni, così come specificato dal comma 913 dell’art.1 della Legge n. 205/2017, i rapporti di lavoro:
• instaurati con le pubbliche amministrazioni di cui al comma 2 dell’art. 1 del D.Lgs. n. 165/2001;
• domestico, rientranti nella Legge n. 339/1958, nonché quelli comunque rientranti nell’ambito di applicazione dei CCNL per addetti ai servizi familiari e domestici, stipulati dalle associazioni sindacali comparativamente più rappresentative a livello nazionale.
Devono inoltre ritenersi esclusi, poiché non rientranti tra i contratti espressamente riconducibili a quelli richiamati al comma 912 dell’art.1 della Legge n. 205/2017, i compensi derivanti da borse di studio, tirocini, rapporti autonomi di natura occasionale.
Retribuzioni e modalità di pagamento
L’obbligo riguarda i soggetti individuati che “corrispondono ai lavoratori la retribuzione […]”.
I datori di lavoro o i committenti dovranno corrispondere ai lavoratori la retribuzione esclusivamente attraverso una banca o un ufficio postale, con una delle seguenti modalità:
• bonifico sul conto identificato dal codice IBAN indicato dal lavoratore;
• strumenti di pagamento elettronico;
• pagamento in contanti presso lo sportello bancario o postale dove il datore di lavoro abbia aperto un conto corrente di tesoreria con mandato di pagamento;
• emissione di un assegno consegnato direttamente al lavoratore o, in caso di suo comprovato impedimento, ad un suo delegato.
L’impedimento s’intende comprovato quando il delegato a ricevere il pagamento è il coniuge, il convivente o un familiare, in linea retta o collaterale, del lavoratore, purché di età non inferiore a sedici anni. Sul piano operativo il datore di lavoro verosimilmente terrà conto delle scelte che faranno i lavoratori. In ogni caso, in mancanza di scelta da parte del lavoratore, in forza dell’obbligo di legge, il datore di lavoro potrà procedere al pagamento scegliendo una delle opzioni previste.
L’obbligo riguarda esclusivamente la corresponsione della remunerazione relativa all’attività svolta dal lavoratore, sia esso subordinato o autonomo, rientrante nel campo di applicazione della norma.
Al fine di individuare quali siano le voci che rientrano nell’obbligo di pagamento con le modalità previste, si ritiene che occorre riferirsi a tutti quegli elementi della retribuzione previsti dal contratto individuale e collettivo applicabile al rapporto di lavoro.
Anticipi di cassa
Gli anticipi di cassa per fondo spese, rimborsi spese ed altre somme corrisposte al lavoratore, diverse da quelle contrattuali, si ritiene possano essere esclusi dall’obbligo di tracciabilità in quanto l’articolo 1, comma 910, della Legge prevede che l’obbligo si applichi al momento in cui i datori di lavoro o committenti, “corrispondono ai lavoratori la retribuzione, nonché ogni anticipo di essa”.
Prospetto paga e libro unico del lavoro
Considerato che il Legislatore fa riferimento alla busta paga, si ritiene che rientrino nell’obbligo tutte quelle somme che, secondo quanto previsto, devono essere inserite nel prospetto paga e nel libro unico del lavoro.
A tal fine occorre ricordare che l’obbligo di consegna al lavoratore di un prospetto paga è previsto dalla Legge 5 gennaio 1953, n. 4.
L’articolo 1 della predetta Legge prevede che é fatto obbligo ai datori di lavoro di consegnare, all’atto della corresponsione della retribuzione “[…]un prospetto di paga in cui devono essere indicati […] tutti gli altri elementi che, comunque, compongono detta retribuzione, nonché, distintamente, le singole trattenute“.
Il successivo articolo 2 aggiunge che: “Le singole annotazioni sul prospetto di paga debbono corrispondere esattamente alle registrazioni eseguite sui libri di paga, o registri equipollenti, per lo stesso periodo di tempo”.
Il combinato disposto dei due articoli predetti porta, dunque, a concludere che rientrano nell’obbligo tutti gli elementi che confluiscono nella busta paga e che risultano annotati nel libro unico del lavoro ai sensi dell’art. 39 del D.L. n. 112/2008, convertito dalla Legge n. 133/2008.
Le sanzioni
Come già precisato, il comma 910 prevede, dal 1° luglio 2018, l’obbligo per i datori di lavoro o committenti di corrispondere ai lavoratori la retribuzione, nonché ogni anticipo di essa, attraverso una banca o un ufficio postale con uno dei mezzi appositamente individuati. Il comma 911 aggiunge, inoltre, il divieto di corrispondere la retribuzione direttamente al lavoratore, per mezzo di denaro contante, qualunque sia la tipologia del rapporto di lavoro instaurato. In caso di violazione, oltre a quanto già indicato relativamente alla prova del pagamento tra le parti, il comma 913 prevede che “al datore di lavoro o committente che viola l’obbligo di cui al comma 910 si applica la sanzione amministrativa pecuniaria consistente nel pagamento di una somma da 1.000 euro a 5.000 euro“.
L’introduzione dell’apparato sanzionatorio per chi viola la tracciabilità delle retribuzioni descritto comporta che, a prescindere da controversie tra le parti, gli organi competenti a rilevare una violazione procedano all’irrogazione della sanzione prevista.
Il momento di consumazione dell’illecito che darà origine alla sanzione sarà quello in cui il datore di lavoro o committente avrà proceduto al pagamento con una modalità diversa da quella espressamente prevista.
Sugli aspetti sanzionatori è intervenuto recentemente l’Ispettorato Nazionale del Lavoro con la nota n. 4538 del 22 maggio 2018, nella quale ha fornito istruzioni agli organi di vigilanza. L’Ispettorato ha chiarito che la sanzione si applica anche nel caso in cui il datore di lavoro o committente abbia effettuato il pagamento con le modalità previste, ma abbia successivamente revocato, ad esempio, il bonifico, ovvero l’assegno bancario eventualmente emesso sia stato annullato prima dell’incasso.
Un altro aspetto su cui è intervenuto l’INL riguarda l’inapplicabilità dell’istituto della diffida, prevista dall’articolo 13 del D.Lgs. n.124/2004. L’illecito in esame non risulta materialmente sanabile, alla luce della consumazione definitiva dell’illecito nel momento in cui si fosse effettuato il pagamento con modalità diverse da quelle previste o comunque in violazione della legge. La sanzione sarà determinata nella misura ridotta ai sensi dell’articolo 16 della Legge n. 689/1981. Dunque, considerando che la somma minore, nel caso di specie, è quella pari a un terzo del massimo, l’importo dovuto sarà pari a 1.666,67 euro. Entro 30 giorni sarà possibile presentare ricorso amministrativo al direttore della sede dell’Ispettorato territoriale del lavoro, avverso verbale di contestazione e notificazione dell’illecito degli organi di vigilanza, ovvero presentare scritti difensivi.
Firma della busta paga
Il Legislatore, al comma 912, prevede che la firma apposta dal lavoratore sulla busta paga non costituisca prova dell’avvenuto pagamento della retribuzione.
La Fondazione ricorda, peraltro, che la giurisprudenza ha riconosciuto al lavoratore la possibilità, in sede processuale, di dimostrare che la sottoscrizione apposta sulla busta paga non costituisca la prova dell’avvenuto pagamento.
Dal 1° luglio 2018 sarà invece, per legge, necessario provare il pagamento attraverso i mezzi espressamente individuati.