Mietitura al via: dal chicco alla pasta, quando il grano è storia


Alla vigilia della mietitura AIDEPI traccia l’identikit del grano duro perfetto per la pasta: una tradizione che affonda le radici nella storia

Alla vigilia della mietitura AIDEPI traccia l'identikit del grano duro perfetto per la pasta: una tradizione che affonda le radici nella storia

Ha dato il nome a diverse monete coniate nel Regno di Napoli e Sicilia, così come a Malta e in Spagna. Prima dell’introduzione della moneta (VII sec. a.C.), era la merce principale di scambio nei baratti, e ancora oggi è simbolo di ricchezza. Parliamo del grano, che nel mese di giugno vive il suo momento cruciale. “Giugno, falce in pugno”, risuonava un antico detto popolare, a rimarcare che, con l’avvento dell’estate gli agricoltori impugnavano la falce, i campi si animavano, inaugurando ufficialmente il mese della mietitura.

Da metà giugno alla prima metà di luglio, periodo variabile a seconda della maturazione del grano e dell’esposizione del terreno al sole, la mietitura rappresenta il resoconto finale dell’annata sul raccolto di grano duro che diventerà la migliore pasta al mondo. Perché è dal grano duro che nasce la pasta e per farla servono i grani più pregiati e il saper fare dei pastai nel riconoscerli e selezionarli, come sancito 50 anni fa dalla Legge di purezza della pasta (580/67).

E oggi che l’Italia è il primo produttore mondiale di pasta (1 piatto di pasta su 4 in Europa è prodotta in Italia), il primo produttore europeo di grano duro ed è al primo posto anche nella classifica dell’export (con 1,9 milioni di tonnellate), abbiamo più che mai la responsabilità di salvaguardare e tramandare il valore storico del grano duro e continuare a realizzare un prodotto di ottima qualità selezionando la migliore materia prima.

Mietitura 2018: produzione mondiale in aumento

A livello mondiale, la campagna 2018-2019 della mietitura segna una ripresa del +4,3%, con una produzione totale di 38,6 milioni di tonnellate. In Europa si prevede una riduzione del -3,2% della produzione di frumento duro, con circa 9 milioni di tonnellate. In Italia, la superficie a grano duro è di 1,28 milioni di ettari (-1,8% dovuto al calo di investimenti nel Sud e nelle Isole) con una produzione attesa a livello nazionale di 4,2 milioni di tonnellate (confermandosi stabile rispetto alla campagna 2017-2018).

Queste le previsioni di AIDEPI sulla prossima mietitura e sul raccolto di frumento duro in Italia, con un andamento stabile rispetto alla campagna 2017-2018, in linea con i risultati dal rapporto di Roma Cereali. Aumenta la domanda da parte dell’industria nazionale per il grano duro pastificabile italiano di alta qualità e frutto dell’aggregazione della produzione primaria. Mentre prosegue la riduzione delle importazioni di grano estero, già evidenziata nella campagna 2017-2018, e un rallentamento degli scambi internazionali pari a -1,4%. Gli stock 2018-2019 ammontano a 9,2 milioni di tonnellate.

Quanto costa il grano per fare la pasta

Ad oggi, il grano duro italiano è quotato a 20 euro al quintale. E alla Borsa merci della Camera di commercio di Foggia il 17 maggio 2018 (ultima quotazione) il grano duro “fino”, di primissima scelta, all’ingrosso resta a prezzi invariati: tra le 185 euro e le 223,50 a tonnellata. A seguito della mietitura 2017, i prezzi sono superiori rispetto all’anno precedente: in particolare, sul prezzo medio “franco partenza” (senza trasporto), il controvalore del grano duro pastificabile all’ingrosso si è mantenuto con un differenziale positivo di circa 20 euro a tonnellata (dati Bmti).

Aumenta la domanda dell’industria nazionale per il grano duro pastificabile made in Italy, a patto che sia di alta qualità e frutto di un’aggregazione dei protagonisti della filiera

L’identikit del grano duro ideale per la pasta

La pasta italiana è l’unica al mondo che deve essere fatta con la semola di grano duro prossimo alla mietitura. E’ uno dei fattori stabiliti dalla Legge di purezza della pasta, varata nel 1967, che sancisce le caratteristiche del prodotto e della materia prima utilizzata, e i parametri di qualità che permettono alla pasta italiana di essere sempre la migliore al mondo, come la quantità di proteine nella pasta e la sua tenuta al dente. La legge, tutta italiana, fissa per la nostra pasta un minimo di proteine di almeno il 10,50%, ma per rispondere a un consumatore dal gusto più evoluto di 50 anni fa, ormai le aziende italiane producono pasta con un livello proteico medio di almeno il 12-13%. Inoltre, ci sono anche altri limiti a garanzia della qualità del nostro prodotto simbolo: per esempio, il colore, o la qualità del glutine per trattenere l’amido e permettere quindi la proverbiale tenuta “al dente”. Se anche una sola di queste specificità non viene rispettata, il grano duro non è adatto alla pastificazione e il prodotto finale non può essere chiamato pasta.

“La semola di grano duro – commentano Vincenzo e Francesco Divella, amministratori delegati dell’omonimo pastificio – è l’unica ad avere quella tenacità che permette alla pasta di tenere la cottura e di restare sempre al dente. Quando è di ottima qualità e risponde ai parametri richiesti, le proteine a contatto con l’acqua creano il glutine, il “cemento” che costituisce la struttura della pasta e ne trattiene l’amido. Più forte è la tenuta della rete proteica, più strette le sue maglie, meno amido fuoriuscirà dalla pasta in cottura (lo si vede a occhio dalla limpidezza dell’acqua nella pentola) evitando che si formi quella patina sulla superficie della pasta che la rende collosa e scotta. Per questo, ci sta molto a cuore la qualità della materia prima, affinché la nostra pasta sia la migliore al mondo”.

La miscelazione dei grani

Atteso che di pasta ne produciamo tanta (3,36 milioni di tonnellate di pasta nel 2017), serve tanto grano di qualità per coprire il fabbisogno medio dell’industria. La produzione media annua italiana copre solo il 70% del necessario. Per questo siamo obbligati a importare dall’estero il 30% o il 40% del totale, a seconda dell’annata (meno della metà di 200 anni fa). E i pastai italiani lo fanno, da sempre, scegliendo i migliori grani prodotti in aree vocate come Francia, Australia, Messico e Nord America. Infatti, anche all’estero c’è un ottimo grano: l’83% del grano importato per fare la pasta è di qualità superiore, con un contenuto proteico oltre il 13%. E i grani migliori al mondo che importiamo vengono pagati circa il 15% in più di quello nazionale. Inoltre, non sempre e non tutti gli anni il grano italiano raggiunge gli standard qualitativi previsti dalla legge di purezza.

Solo il 35% del grano italiano ha contenuto proteico superiore al 13% e circa il 30% del grano duro prodotto in Italia è di qualità medio bassa, con un contenuto proteico inferiore al 12%, che lo rende non adatto alla pastificazione. Il ricorso a grano estero di qualità permette anche di gestire la variabilità della produzione nazionale. Se 1 chicco di grano duro italiano su 3 è ai limiti dei parametri richiesti, la miscelazione con grano estero più forte e tenace gli consente ancora di diventare pasta ottima e salubre.

Italia e autosufficienza

In Italia serve maggiore e migliore aggregazione tra cerealicoltori, imprese industriali, molini e pastifici, per consentire l’approvvigionamento sul mercato domestico, con maggiore razionalità. “Un primo passo è stato fatto – continua Riccardo Felicetti, Presidente dei pastai di Aidepi – con la sottoscrizione di contratti di filiera pluriennali tra parte agricola, cooperazione e industria che hanno l’obiettivo di garantire agli agricoltori un reddito sicuro, fissare premi di produzione legati al raggiungimento di standard qualitativi del grano in base alle esigenze dell’industria della pasta, migliorare il grano duro nazionale. Rappresenta l’inizio di un percorso virtuoso di collaborazione, con la consapevolezza che la condivisione è sempre uno strumento di forza”.