L’associazione dei consumatori diffonde i risultati parziali di un’indagine della DTU (Technical University of Denmark): “Nei vaccini analizzati riscontrata la presenza di metalli pesanti non dichiarati”
Mentre la discussione sui vaccini obbligatori per frequentare la scuola infiamma l’estate politica, sul tema interviene ancora il Codacons.
L’associazione dei consumatori riferisce in un comunicato di “una prima indagine, seppur non conclusa, che porta esattamente nella direzione indicata dal Codacons nel febbraio 2017, subito dopo la pubblicazione dello studio Gatti-Montanari: sono presenti metalli non dichiarati nei vaccini somministrati agli infanti che possono rappresentare un grave pericolo per la salute dei bambini a cui sono destinati tali farmaci”.
Come si legge ancora nella nota stampa del Codacons, si tratterebbe dei primi risultati della DTU (Technical University of Denmark), Università danese tra le più prestigiose al mondo che sta svolgendo apposite indagini sul caso, i cui risultati integrali saranno illustrati non appena lo studio sarà completato.
Per tale ragione il Codacons ha depositato formale opposizione all’archiviazione richiesta dal Procuratore aggiunto di Torino, Vincenzo Pacileo, nell’ambito dell’indagine sulla presenza di metalli pesanti all’interno di alcuni vaccini. Come noto la Procura aveva aperto un fascicolo d’inchiesta senza indagati in cui si ipotizzava il reato di “somministrazione di farmaci imperfetti” dopo la presentazione di un esposto da parte del Codacons.
L’associazione sprona inoltre il Governo a rivedere la legge “regalo” alle case farmaceutiche, approvata grazie alla pressione di potenti lobby e di dirigenti sanitari in palese conflitto di interessi con le multinazionali del farmaco: il Presidente dell’Iss Walter Ricciardi, accanito sostenitore della vaccinazione di massa, querelò il presidente del Codacons Carlo Rienzi che lo aveva accusato di avere avuto rapporti con le case produttrici dei vaccini, e il Tribunale di Roma, attraverso il Gip Giulia Proto, ha ora assolto Rienzi perché “il fatto di diffamazione non sussiste”.