Lunedì 2 luglio stangata fiscale da 19,2 miliardi di euro per le imprese secondo i calcoli della Cgia di Mestre
Il calendario fiscale l’aveva prevista per oggi, ma essendo un giorno prefestivo la scadenza slitta a lunedì; pertanto, gli imprenditori avranno 2 giorni di tempo in più per recuperare la liquidità necessaria per onorare le richieste del fisco. Un problema non di poco conto, visto che l’importo economico da versare sarà estremamente impegnativo.
L’Ufficio studi della CGIA segnala che tra il versamento del saldo 2017 e il primo acconto di quest’anno, le imprese saranno chiamate a pagare l’Ires (Imposta sui redditi delle società di capitali), mentre i lavoratori autonomi e gli altri percettori di reddito dovranno versare l’Irpef e le addizionali regionali e comunali Irpef.
Inoltre, tutti gli imprenditori saranno chiamati a versare il saldo dell’anno scorso e l’acconto di quest’anno dell’Irap (Imposta regionale sulle attività produttive) e l’iscrizione per l’anno 2018 alle Camere di Commercio. Pertanto, nelle casse pubbliche è previsto un gettito complessivo pari a 19,2 miliardi di euro.
Dichiara il coordinatore dell’Ufficio studi della CGIA, Paolo Zabeo: “Non sarà facile superare indenni l’ingorgo fiscale di inizio estate. Quello di lunedì sarà un vero e proprio stress test che metterà a dura prova la tenuta finanziaria di tantissime piccole e micro imprese che tradizionalmente sono sottocapitalizzate e a corto di liquidità. Speriamo che in tempi ragionevolmente brevi il nuovo Governo provveda a tagliare drasticamente le imposte e decida di distribuire su tutto l’arco dell’anno le scadenze fiscali che, invece, continuano irragionevolmente ad essere concentrate in particolar modo a giugno e a novembre”.
Quest’anno la normativa fiscale consente comunque di pagare le imposte entro il 20 di agosto, con una maggiorazione dello 0,40 per cento a titolo di interesse corrispettivo.
Un po’ di tempo in più rispetto ai canonici 30 giorni aggiuntivi consentiti normalmente, in quanto la data cade ai primi di agosto e, automaticamente, slitta al giorno 20 dello stesso mese in osservanza di una norma che da qualche anno ha stabilito che tutti gli adempimenti fiscali che scadono tra il 1° e il 20 agosto possono essere effettuati entro quest’ultima data.
Nel 2018, pertanto, la possibilità di ritardare il versamento può essere fatto pagando 4 euro in più ogni 1.000 dovuti al fisco. Una opzione che le imprese possono “beneficiare” fino al 20 agosto.
La CGIA fa sapere che la stima del gettito tiene conto anche del comportamento fiscale tenuto dagli imprenditori nelle annualità precedenti.
Oltre alle tasse, segnala la CGIA, in Italia il problema è anche il peso dell’oppressione fiscale che ostacola l’attività quotidiana delle imprese. Al netto delle tariffe applicate dai commercialisti per la tenuta della contabilità aziendale, secondo una indagine realizzata periodicamente dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri, il costo della burocrazia fiscale (obblighi, dichiarativi, certificazione dei corrispettivi, tenuta dei registri, etc.) in capo agli imprenditori ammonta a circa 3 miliardi di euro all’anno.
“In linea generale – segnala il segretario della CGIA Renato Mason – in nessun altro Paese d’Europa viene richiesto uno sforzo fiscale come quello presente in Italia. Nonostante la nostra giustizia civile sia lentissima, la burocrazia abbia raggiunto livelli ormai insopportabili, la Pubblica amministrazione rimanga la peggiore pagatrice d’Europa e il sistema logistico-infrastrutturale registri dei ritardi spaventosi, la fedeltà fiscale delle nostre imprese è, comunque, molto elevata.”
E in vista dell’approvazione del “decreto dignità” che, secondo indiscrezioni, dovrebbe avvenire all’inizio della prossima settimana, l’Ufficio studi della CGIA ha stimato in poco più di 1 miliardo di euro le minori spese annue che le imprese beneficeranno dall’abolizione di alcune voci fiscali.
Con la cancellazione degli studi di settore, ad esempio, le imprese otterranno un vantaggio di 820 milioni. Dall’eliminazione dello split payment, invece, l’abbattimento dei costi per mancanza di liquidità consentiranno alle attività produttive di risparmiare attorno ai 200 milioni e altri 45 milioni dalla cancellazione del redditometro.
Altresì, proseguono dalla CGIA, va ricordato che l’abolizione dello spesometro era già stata annunciata dal Governo Gentiloni a seguito dell’introduzione della fatturazione elettronica che scatterà dal prossimo 1 gennaio 2019.
E anche l’addio agli studi di settore era stato previsto addirittura dal Governo Renzi: sempre dall’inizio dell’anno prossimo, infatti, se ne prevede la sostituzione con gli indici di affidabilità fiscale. Pertanto, il vantaggio di 820 milioni di euro è “potenziale” in quanto dipenderà dall’impatto economico che avranno i predetti indici di affidabilità.
Lo split payment, invece, è una misura tecnica che è stata introdotta nel 2015. Si ricorda che una volta terminata un’opera, una manutenzione, un servizio o una fornitura di beni a una Amministrazione Pubblica, l’impresa privata deve emettere la fattura con l’Iva. La novità stabilita dallo split payment è che l’Iva non viene più incassata dall’imprenditore, ma deve essere versata all’erario dal committente pubblico.
Pertanto, le aziende che lavorano prevalentemente con la Pa non hanno più potuto incassare l’Iva con il risultato che la disponibilità di liquidità è diminuita. L’Iva incassata, comunque, non rimaneva nelle casse delle imprese, ma veniva versata all’erario entro il mese o il trimestre successivo al pagamento della fattura. In buona sostanza, si trattava di una partita di giro.
Tuttavia, questa “sfasatura” tra l’incasso e il pagamento consentiva alle aziende di recuperare l’imposta sul valore aggiunto pagata sugli acquisti/prestazioni ricevute e di disporre con continuità di una discreta quantità di risorse finanziarie per affrontare le esigenze di pagamento più immediate. Negli ultimi anni, invece, questa facoltà non è stata più possibile. Ora con la sua cancellazione le imprese potranno beneficiare di una maggiore liquidità.