Crollo del 19% nell’ultimo mese del prezzo della soia, uno dei prodotti più sensibili presenti nella black list di Pechino
La guerra dei dazi tra Stati Uniti e Cina è iniziata alla mezzanotte americana (le 06:00 italiane) con l’operatività delle imposte al 25% sull’import di 818 beni. Le contromisure di Pechino, del valore di 34 miliardi di dollari, riguardano numerosi prodotti come soia, carne, whiskey e altri alcolici e auto.
E mentre il presidente americano Trump minaccia ulteriori dazi, continua a crollare il prezzo della soia, che nell’ultimo mese alla borsa merci di Chicago, principale punto di riferimento mondiale per la quotazione delle materie prime agricole, è sceso del 19%.
Secondo una analisi della Coldiretti sugli effetti più eclatanti dell’entrata in vigore il 6 luglio delle misure di ritorsione della Cina, “la soia è uno dei prodotti più sensibili presenti della black list asiatica perché è tra i prodotti agricoli più coltivati nel mondo, largamente usato per l’alimentazione degli animali da allevamento, con gli Stati Uniti che si contendono con il Brasile il primato globale nei raccolti seguiti, sul podio, dall’Argentina per un totale dell’80% dei raccolti mondiali”.
“Per sostenere l’aumento del consumo di carne con i propri allevamenti la Cina – precisa la Coldiretti – è il principale acquirente mondiale della soia, ma con lo scattare del dazio aggiuntivo del 25% nei confronti degli Stati Uniti ha fatto cambiare le fonti di approvvigionamento a favore del Brasile”.
Le disdette pesano sui raccolti statunitensi e sulle quotazioni riconosciute ai farmers americani, ma anche sugli allevatori e sui consumatori cinesi per l’aumento dei costi di produzione e in definitiva anche dei prezzi della carne. Per le dimensioni del fenomeno la situazione va però attentamente monitorata da parte dell’Unione Europea per verificare l’opportunità di attivare, nel caso di necessità, misure di intervento straordinarie anche a livello comunitario.
Più spazio per i prodotti Made in Italy
Tra le prime vittime della guerra commerciale tra Usa e Cina ci sono i falsi formaggi italiani prodotti negli Stati Uniti, dal parmesan al provolone fino alla mozzarella, colpiti dalla ritorsione di Pechino alle misure protezionistiche di Trump appena entrate in vigore.
E’ quanto afferma la Coldiretti nel sottolineare che l’Italia potrebbe avvantaggiarsi della situazione dopo che le esportazioni di formaggi Made in Italy nel paese asiatico sono cresciute del 27% in quantità nel 2017 raggiungendo il massimo storico.
Secondo il Wall Street Journal i magazzini di stoccaggio dei principali produttori statunitensi di formaggio di tipo italiano si stanno gonfiando di scorte invendute a causa del crollo delle spedizioni verso la Cina in seguito ai nuovi dazi decisi a partire dal 6 luglio.
Una situazione aggravata dal fatto che anche il Messico ha applicato tariffe aggiuntive per le importazioni statunitensi per gli stessi formaggi come risposta ai dazi Usa. Gli Stati Uniti sono i principali produttori delle imitazioni dei formaggi italiani nel mondo per un totale di 2,4 miliardi di chili nel 2017 tra mozzarella, parmesan, provolone, ricotta e romano.
Si aprono dunque interessanti opportunità per le esportazioni di cibo Made in Italy nel paese asiatico, a partire dai prodotti lattiero caseari che nel 2017 hanno raggiunto il record delle vendite nel mondo, raggiungendo la quantità record di 412 milioni di chili e con una crescita a doppia cifra nella stessa Tigre asiatica. I dazi cinesi avranno l’effetto di riaprire alle specialità italiane spazi sugli scaffali sino ad oggi ingiustamente usurpati dalle imitazioni americane.
Lo stop cinese colpisce in realtà una vasta gamma di prodotti agroalimentari a stelle e strisce, dai formaggi alla soia, dal mais al grano, dallo yogurt al burro, dal riso alla carne di maiale e di manzo, fino a pollame, pesce, nocciole e frutta e verdura come arance, patate, pomodori, asparagi, melanzane. E chance di crescita si profilano anche per il settore ortofrutticolo italiano a partire dalle arance, anche se per l’esportazione di altri prodotti resta da superare l’ostacolo delle barriere fitosanitarie imposte da Pechino.