Attenti alla “calabrite”: è una malattia che conquista il cuore. La storia di Francesco Riccelli e della sua pinsa
La Calabria ha tanti uomini che nel mondo hanno fatto parlare di sé. E ognuno l’ha fatto in maniera egregia. Molti hanno cominciato dal nulla creando veri e propri imperi. C’è anche chi si è distinto per la sua carriera scientifica, medica, professionale, lontani da quella terra che ha dato tanto alla loro cresciuta costruttiva e formativa. Ma c’è anche chi ama la propria terra, soffre la lontananza e patisce di una “brutta” malattia: la calabrite.
La calabrite è una patologia che tocca la mente, da qui mettendo a rischio seriamente il cuore. Casi di questa malattia ce ne sono tanti, tante le storie che portano poi ad unica soluzione per sconfiggere il malessere che, a volte, secondo esperti, potrebbe divenire mortale.
Riccelli Francesco nasce a Marcedusa, all’età di sei anni incomincia a mettere le mani in pasta, oggi ne ha quaranta. Per lui la pizza non è solo il piatto preferito, ma diventa l’orgoglio personale di aver trovato la ricetta giusta, che del gusto placa la pace del sapore.
Intanto si gira tutta l’Europa e, non solo, per parlare della pizza dai sapori caldi di una Calabria passionale e genuina.
Ma ad un tratto, due anni fa, arriva la pinsa. La novità. L’assaggia prima nella capitale, ma vuole migliorarla, e per anni ne studia l’impasto giusto. Ritorna nella sua terra con la pinsa “in testa” e compra sul lungomare di Botricello un lido, un ristorante pizzeria.
Meticoloso negli ingredienti, prediligendo il km0 con 4 tipi di frumento dal grano, tanta farina di riso e cereali, tuttavia la vera ricetta è segreta. Alta e lievitata, morbida, croccante e un costo che guarda al prodotto di qualità. Ben oltre 70 ore di lievitazione. E incomincia a farne in quantità industriale per immetterla nel mercato calabrese. Confezionata, congelata, venduta in scatola. Un prodotto precotto da guarnire a piacere.
La pinsa non è la pizza, il metodo è diverso. Un lavoro dietro che incide anche sul prezzo. È grande il sogno di portare il prodotto per mandarlo in America, ai compaesani donando loro un po’ di “aria di casa mia”. Ha già tante richieste per avere il semilavorato. Nel mercato consumistico entra congelata, il processo a norma di trasformazione, in scatola. E incomincia il business, ma anche posti di lavoro.
Il suo sogno? Oltre il bene per la famiglia, una smania per il lavoro e la visione di constatare il made in Italy solcare i mari.