Secondo le stime Coldiretti -4% di esportazioni di vino italiano in Canada dopo l’entrata in vigore dell’accordo CETA
Calano del 4% le bottiglie di vino Made in Italy esportate in Canada nel primo quadrimestre del 2018 rispetto al quello dell’anno precedente, dopo l’entrata in vigore dell’accordo CETA il 21 settembre 2017.
E’ quanto afferma la Coldiretti sulla base dei dati Istat relativi al commercio estero nel primi quattro mesi dell’anno. Con il CETA si è verificata una brusca inversione di tendenza rispetto allo stesso periodo dello scorso anno quando le bottiglie esportate erano aumentate del 15%.
“Il vino – sottolinea la Coldiretti – è il prodotto agroalimentare italiano più venduto nel Paese nordamericano dove rappresenta oltre un terzo del valore totale dell’export. L’accordo di libero scambio con il Canada (CETA) – denuncia la Confederazione – non protegge dalle imitazioni dall’Amarone all’Ortrugo dei Colli Piacentini insieme a molti altri vini e non prevede nessun limite per i wine kit (nella foto) che promettono di produrre in poche settimane le etichette più prestigiose dei vini italiani: dal Chianti al Valpolicella, dal Barolo al Verdicchio che il Canada produce ed esporta in grandi quantità in tutto il mondo”.
“L’intesa raggiunta con il Canada, sebbene abbia mantenuto l’accordo siglato nel 2003, non ha previsto – precisa la Coldiretti – l’aggiornamento dell’elenco con le denominazioni nate successivamente. E pertanto non trovano al momento tutela importanti vini quali l’Amarone, il Recioto e il Ripasso della Valpolicella, il Friularo di Bagnoli, il Cannellino di Frascati, il Fiori d’arancio dei Colli Euganei, il Buttafuoco e il Sangue di Giuda dell’Oltrepo’ Pavese, la Falanghina del Sannio, il Gutturnio e l’Ortrugo dei Colli Piacentini, la Tintillia del Molise, il Grechetto di Todi, il Vin santo di Carmignano, le Doc Venezia, Roma, Valtenesi, Terredeiforti, Valdarno di Sopra, Terre di Cosenza, Tullum, Spoleto, Tavoliere delle Puglie, Terre d’Otranto”.
“La mancata protezione delle denominazioni di vino italiane nei diversi Paesi non solo rischia di favorire l’usurpazione da parte dei produttori locali ma – conclude la Coldiretti – favorisce anche l’arrivo su quei mercati di prodotti di imitazione realizzati altrove”.